sabato 27 febbraio 2010

La musica e la tequila di Sammy Hagar, voce di Montrose, Van Halen e Chickenfoot – Gibson lancia la Sammy Hagar Red Rocker Les Paul












Gli appassionati di rock di tutto il mondo hanno comprato più di 60 milioni di dischi ai quali ha partecipato Sammy Hagar. La carriera di questo artista, popolarissimo negli Stati Uniti, è stata scandita da grandi cambiamenti, a testimonianza della sua continua voglia di mettersi alla prova. Hagar ha cominciato a farsi conoscere nel 1973 cantando nell'album di debutto dei Montrose, per poi affermarsi come solista ed essere in seguito scelto dai Van Halen nel 1985, per il difficile compito di sostituire David Lee Roth. Dopo aver lasciato i Van Halen nel '96, Hagar si è rimesso in proprio, accompagnato dai suoi Waboritas. Nel 2008 è tornato a stupire i fan fondando un supergruppo, i Chickenfoot, assieme ad altri tre nomi celebri: il bassista Michael Antony, suo storico compagno nei Van Halen, il batterista dei Red Hot Chili Peppers Chad Smith e il virtuoso della sei corde Joe Satriani. Nell'album omonimo d'esordio dei Chickenfoot, uscito nel 2009, tutte le parti di chitarra sono suonate da “Satch,” ma dal vivo, come ha fatto molte volte in passato, Hagar spesso si esibisce sia come musicista che come cantante. Storicamente le chitarre preferite da Sammy sono state delle Gibson, come la SG o la Explorer Pro, e soprattutto come la Les Paul Studio, che in un'intervista per il nostro sito americano Hagar ha definito “la chitarra più versatile, completa e straordinaria che ci sia.”

La Gibson ha pertanto deciso di celebrare la nuova avventura dei Chickenfoot e la storica passione di Sammy per le sue chitarre, dedicandogli il modello Sammy Hagar Red Rocker Les Paul. Una nuova custom disegnata dallo stesso Hagar, dalla scelta dei pick-up alla presenza del marchio dei Chickenfoot sulla paletta.

Per festeggiare questa novità, presentiamo una selezione di video con alcuni momenti fondamentali della carriera di Sammy Hagar...


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Video
Montrose - Bad Motor Scooter

giovedì 25 febbraio 2010

Il Napalm nel cuore – Gli Stooges entrano nella Rock And Roll Hall Of Fame




















New York, Ragovoy's R&B Studio, 19 Giugno del 1969. Nico è in disparte, lavora a maglia. John Cale indossa un mantello da vampiro. È stato scelto dalla Elektra come produttore del primo singolo degli Stooges, quattro ragazzi impossibili che vengono da Ann Arbor, vicino a Detroit: anni luce di distanza dalla sofisticata scena che ruota attorno a Andy Wharol. Pochi minuti fa s'erano seduti per terra. Sciopero. Il motivo non si chiarirà mai. I membri della band sostengono d'aver difeso il loro diritto di tenere al massimo il volume di tutti gli strumenti. Cale racconta che in realtà scioperavano perché gli venisse comprata la birra. Non è facile lavorare con loro, anche per uno che ha tenuto testa a Lou Reed. Al basso c'è Dave Alexander, che verrà cacciato dalla band l'anno successivo e troverà la morte nel '75, in entrambi i casi per colpa dell'alcol. Il batterista e il chitarrista sono due fratelli dall'aspetto minaccioso, Scott e Ron Asheton. Il cantante è Jim Osterberg/Iggy Pop, un ragazzo passato in un lampo da primo della classe a spettacolare e depravato animale da palcoscenico. Animale nel vero senso della parola: iguana, ghepardo, velociraptor, a seconda delle occasioni. Uno che ha deciso di prendere tutto quel che c'è di buono nelle esibizioni di uno dei suoi idoli, Jim Morrison, e di portarlo oltre le estreme conseguenze. Incurante del ridicolo per avvicinarsi al sublime, Iggy è il buffone sacro che si immola per portare all'estasi il pubblico. Come scrisse Pope, “gli stupidi osano dove gli angeli temono d'andare.” Finisce lo sciopero, inizia la storia. Ron collega al Marshall la Gibson Flying V che ha acquistato dal concittadino Gary Quackenbush degli Scott Richardson Case. Iggy canta, dimenandosi, perché come il primo Elvis non sa cantare stando fermo. I Wanna Be Your Dog, urla. Spinta da un riff brutale, che verrà poi sottolineato da incongruenti e ossessivi campanelli, la canzone condivide l'immaginario dei Velvet Underground tanto nel masochismo del testo quanto nella ripetitività della musica; ma laddove i Velvet arrivavano a una tale dichiarazione di intenti per mezzo di una colta e consapevole ricerca, gli Stooges paiono mossi da usa spinta puramente inguinale. Sono...
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Video - The Stooges - T.V. Eye/1970

domenica 21 febbraio 2010

La Les Paul di Warren Haynes in By A Thread, il nuovo album dei Gov't Mule



















Trovare il pezzo giusto per aprire un album non è cosa facile: bisogna conquistare immediatamente l'ascoltatore, fargli capire che cosa incontrerà nel viaggio che sta per intraprendere, e presentargli le novità, riuscendo allo stesso tempo a farlo sentire a casa. La scelta dei
Gov't Mule per il loro nuovo lavoro, By A Thread che arriva a tre anni di distanza da High And Mighty, in questo senso è perfetta: Broke Down On The Brazos mette subito le cose in chiaro. C'è un bassista nuovo nella band, Jorgen Carlsson (che va a prendere il posto di Andy Hess, a sua volta sostituto del compianto fondatore Allen Woody), dotato di uno stile potente e aggressivo, che nell'assalto alla gola della traccia di apertura rimanda addirittura a Les Claypool dei Primus. Per tutto il disco, Carlsson sarà il perfetto coprotagonista a fianco della star assoluta dello show, Warren Haynes, autore, cantante e soprattutto chitarrista. In Broke Down On The Brazos pare di vedere il basso di Carlsson che spietato spiana il terreno per lasciare spazio alla Gibson Les Paul Standard di Haynes, che prima entra in scena discreta, e poi si prende il palcoscenico senza alcuna paura, con naturale forza. Lo strumento di Haynes in questo brano trova al suo fianco una sorella prestigiosa, Pearly Gates, la Gibson Sunburst Les Paul Standard del '59 di Billy Gibbons degli ZZ Top.

Il confronto tra le due chitarre è fresco, spontaneo, malgrado la canzone non sia per nulla facile o ammiccante. Ci chiarisce quello che succederà nei pezzi successivi. By A Thread è un disco forte, a servizio della chitarra di Haynes, un disco che evita però costantemente di ridursi a una sterile ostentazione di tecnica e stile; è inoltre un album poco immediato, che dà il meglio di sé dopo molti ascolti, e che non ha paura di spiazzare il pubblico, portandolo bruscamente da una parte all'altra dei molti mondi musicali di questo gruppo figlio della Allman Brothers Band (proprio nella formazione degli Allman che si riunì alla fine degli anni '80 Haynes iniziò a guadagnare notorietà internazionale, dopo alcuni anni come chitarrista del cantante country David Allan Coe).

La seconda traccia, Steppin' Lightly, in ossequio al proprio titolo, sembra proporsi inizialmente con passo più leggero, per poi caricarsi d'energia nel chorus e terminare con un solo di Haynes, che viene fatto sorprendentemente sfumare proprio mentre sembra distendersi. In Steppin' Lightly si sente l'influenza dei Led Zeppelin, non una sorpresa per i fan del Mulo, ma curiosamente non si tratta degli Zeppelin “classici” dei primi quattro album, ma di quelli che giocavano con le possibilità del groove in alcune pagine da Houses Of The Holy in poi.

Si passa in seguito al brano migliore del disco...

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Video - Warren Haynes - Railroad Boy

giovedì 18 febbraio 2010

I Genesis nella Rock And Roll Hall Of Fame e i 60 anni di Steve Hackett e Peter Gabriel











Il quindici Marzo 2010 i Genesis entrano nella Rock And Roll Hall Of Fame, in una cerimonia che li celebra assieme ad altri grandi nomi, quali Jimmy Cliff, gli Abba, gli Hollies e gli Stooges. Due membri storici della band inglese – i due che cercando nuove strade in momenti cruciali hanno sconvolto la storia del gruppo – arrivano alla serata di Cincinnati dopo aver compiuto da poco i 60 anni. Steve Hackett e Peter Gabriel sono infatti nati nel Febbraio del '50, rispettivamente il 12 e il 13. Dopo la sua uscita dai Genesis, Gabriel è diventato una star come solista, prima nell'ambito del rock alternativo, poi riuscendo a conquistare il pubblico del pop, fino a diventare – anche nell'aspetto esteriore – una specie di guru della musica leggera più raffinata. In questi giorni esce il suo nuovo album di cover con accompagnamento orchestrale, Scratch My Back, con brani che vanno da classici come “Heroes” di Bowie a gemme meno conosciute come Flume di Bon Iver.

Da solista Steve Hackett non ha di certo venduto tanto quanto Gabriel e Phil Collins; ha saputo però mantenere un suo pubblico fedele di appassionati della chitarra, pubblicando con costanza album di qualità, concedendosi anche una parentesi in una sorta di supergruppo, i GTR, con Steve Howe degli Yes. Malgrado possieda molte chitarre, Hackett è affezionato particolarmente alle Gibson: in un'intervista a Guitar Player dichiarò che la sua preferita è la Gibson Les Paul Goldtop del '57 .


Una Les Paul Custom fu invece la chitarra suonata da Hackett nel 1976, un anno chiave della storia dei Genesis, nel quale venne realizzato un album spesso trascurato in quanto disco di transizione, ma che vi invitiamo caldamente a recuperare. Si tratta di A Trick Of The Tail, disco che non solo aveva il difficile compito di dare un successore adeguato all'acclamato The Lamb Lies Down On Broadway (1974), ma che era chiamato a farlo senza Peter Gabriel...
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Video - Genesis - A Trick Of The Tail

mercoledì 17 febbraio 2010

La leggenda di Bob Marley, a 65 anni dalla sua nascita e a 30 dai concerti italiani












Il 6 Febbraio Bob Marley avrebbe compiuto 65anni. Fa davvero uno strano effetto provare per un attimo a immaginarlo ancora tra noi, fantasticare sulle canzoni che avrebbe composto, ipotizzare come avrebbe affrontato tutti i cambiamenti sociali e tecnologici avvenuti dall'undici Maggio dell'81, giorno della sua morte, fino a oggi. Soprattutto viene da pensare a che ne sarebbe stato del suo mito, se i tantissimi fan avessero dovuto confrontarsi non con la sua assenza, ma piuttosto con il messaggio reiterato quotidianamente da un uomo per propria natura portato a essere più leader che idolo. Sono interrogativi irrisolvibili, un “what if” grosso come una leggenda, un'aporia che non si risolve certo figurandoci un minuto signore ormai anziano, con una gran chioma di dreadlock grigi, che spegne le candeline di un'enorme torta di compleanno, circondato da un numero infinito di amanti e amici, nipoti e figli più o meno ufficiali. Di tutti i grandi della musica del Novecento che ci hanno lasciato prematuramente, Marley è quello che più di ogni altro è diventato immediatamente il simbolo di un'intera cultura, di un approccio alla vita. Un sogno partito dalla Giamaica e condiviso nei punti più disparati del mondo. Si domandava Alberto Castelli nel libro Africa Unite (Arcana 2005): “Perché Marley è ancora Marley? Come è possibile che ancora si parli così tanto di un uomo che credeva fermamente che Hailé Selassié fosse l'incarnazione di Dio? Perché c'è così tanto interesse per uno che era seriamente convinto che l'Etiopia fosse la terra promessa, l'unica casa per lui e per tutti i neri del mondo? Forse perché era sincero. Forse perché quando assistevi ai suoi concerti ti accorgevi che lui e la sua musica erano una cosa sola.” Già, la sua musica, i suoi concerti. Il messaggio è indissolubilmente legato al reggae, alle canzoni immortali che Marley ci ha lasciato, e al ricordo di come a tali canzoni sapeva dare vita: così è per quella parte del suo mondo fatta di simboli e idee che possono essere compresi pienamente solo da chi viene dalla Giamaica, anzi, probabilmente solo da chi condivide la religione rastafariana; così è, ancor di più, per chi è in grado di recepire solo gli universali inviti alla fratellanza, all'incorruttibilità, all'emancipazione dalla schiavitù mentale, alla lotta per i propri diritti. “Stand up for your right, non abbandonare la lotta”, continua a cantare e a sentire ancora oggi un enorme popolo, composto di gente di ogni età e nazionalità, per il quale Marley è ancora vivo.

Nel 2010 in Italia si può festeggiare un'altra ricorrenza legata a Bob Marley: trenta anni fa, il 27 e 28 Giugno del 1980 Bob teneva infatti i suoi unici due concerti nella nostra nazione, esibendosi prima allo Stadio San Siro di Milano, poi al Comunale di Torino. La prima data in particolare è passata alla storia per moltissime ragioni, prima fra tutte...

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Video - Bob Marley - Rastaman Vibration

martedì 16 febbraio 2010

Strane presenze a Sanremo - Jimmy Page, Jeff Beck e i gallinacci




















Ormai è diventato inconsueto parlare di musica quando si tratta l'argomento Festival di Sanremo. Malgrado formalmente il pretesto della fiera sia sempre una gara di canzoni (da quest'anno quelle dei giovani arrivano già ascoltate, come in un Festivalbar qualsiasi: ennesimo sacrilegio) da qualche tempo ormai si è compiuta la transizione che ha trasformato l'evento in un programma televisivo qualunque, affetto da pretese di gigantismo che fanno rabbia e tenerezza. La selezione dei cantanti in gara, così come degli ospiti delle serate, viene effettuata pensando al chiacchiericcio che può generare un dato nome, oppure alla familiarità di certi volti con quella parte di pubblico che ancora digerisce la tv generalista vecchio stile. E che, se proprio non riesce a mandarla giù, allo stesso tempo non perde occasione di guardarla per il gusto di criticarla. Ecco dunque le bizzarre apparizioni sul palco di costosi nomi internazionali, pescati quasi a casaccio, con l'intenzione di sopperire a una mira scadente procurandosi un bersaglio enorme. Abbiamo visto, nel recente passato, Hugh Hefner, Sharon Stone, perfino Mike Tyson (congedato da Bonolis con uno storico "sei una bella persona.") Quest'anno tocca a Ranya di Giordania e Antonio Cassano. Che c'entra la musica? Nulla, ovviamente. Come potrebbe entrarci, quando per trovare qualcosa che invogli gli appassionati delle sette note bisogna andare a leggersi i nomi degli autori, e scoprire magari che Francesco Bianconi dei Baustelle ha scritto La Cometa di Halley per Irene Grandi? A chi organizza Sanremo il "caso Morgan" senza dubbio sta a cuore molto di più della musica di Morgan. O di chiunque altro.

Eppure a Sanremo negli anni di musica ne è passata talmente tanta, e con una tale capacità di arrivare al pubblico, che su quel palco si è necessariamente fatta la storia della canzone italiana. Ci sono inoltre sempre state importanti visite da tantissimi grandi nomi internazionali. La lista di questi ultimi potrebbe essere interminabile, una sorta di line-up immaginaria di un folle festival senza tempo e senso. Provate a immaginare il cartellone: Queen. R.E.M. , Springsteen e Louis Armstrong che canta in italiano; giganti del soul quali Stevie Wonder, Ray Charles e Wilson Pickett; gli Smiths che a Sanremo Rock si esibiscono per l'ultima volta (e in quel 1987 con loro ci sono Pet Shop Boys, Duran Duran, Style Council); Peter Gabriel appeso a una liana. Volete un tocco ancora più surreale? 1983: qualcuno invita i Saxon, che cantano Nightmare! E nel 2000, mentre intona The Ground Beneath Her Feet, Bono scende tra il pubblico, incappando in un ritardatario d'eccezione, che ancora deve accomodarsi: Mario Merola. Il re della sceneggiata saluta il popolare cantante irlandese con un lento e compiaciuto applauso...

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Video - Page & Plant - Most High

lunedì 8 febbraio 2010

Dalla Sicilia all'Arizona (passando per Cuba) - Intervista a Fabrizio Cammarata dei Second Grace














Nel 2010 uscirà il nuovo album dei palermitani Second Grace. Il disco ancora non ha un titolo, ma le sue canzoni già sono state registrate, prodotte da un nome prestigioso del rock americano come JD Foster.

Questi brani (alcuni davvero splendidi, come Down Down o Myriam) rappresentano un notevole passo avanti rispetto al già brillante disco omonimo di debutto, uscito nel 2007 e capace di riscuotere grandi consensi. La forza di Fabrizio Cammarata, autore e cantante dei Second Grace, sta nel trovare il giusto punto di incontro tra leggerezza e intensità, per una musica nel quale trovano spazio sia il calore del sole, sia le ombre nette che la sua luce definisce. In attesa dell'album, i sempre più numerosi fan della band possono gustarsi questa intervista che Fabrizio ha concesso a Gibson, nella quale ci parla della sua storia e delle sue passioni, dai viaggi alle chitarre.


Paolo Bassotti - Ho avuto il piacere di ascoltare in anteprima i brani del secondo album dei Second Grace. Puoi dare qualche anticipazione sui suoi contenuti anche ai nostri lettori? Come è nato il disco? Come è stato registrato?


Fabrizio Cammarata - Si tratta di un lavoro parecchio "zingaro"... Alcune circostanze volute e altre inaspettate hanno fatto sì che questo disco avesse una storia che iniziasse in Sicilia, fra Palermo, Catania, Scordia e una casa nella campagna del corleonese, e che finisse a New York, Tucson, Arizona e Portland, Oregon, dove...

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Video - The Second Grace - Antananarive

giovedì 4 febbraio 2010

Questa mia strana poesia – Intervista a Brunori Sas


















Nel disco di Brunori Sas ci sono il Super Santos, Edwige Fenech, i debiti, Padre Pio, l'Esselunga, la Panda, l'Euribor, la spiaggia di Guardia Piemontese. Il suo linguaggio poetico non è fatto di discese ardite, gesuiti euclidei o contropartite considerevoli. Prende il materiale per le sue belle canzoni dal quotidiano e dai ricordi, per realizzare un disco diretto, dolce e forte, capace di suonare allo stesso tempo fresco e familiare. In tanti si stanno accorgendo di lui: il suo album di debutto, Vol. Uno (uscito per Pippola Music) ha ricevuto il Premio Ciampi come miglior opera prima.

Il calabrese Dario Brunori non è un ragazzino. Classe '77, ha già nel curriculum l'importante esperienza coi toscani Blume. Tornato alla sua terra d'origine, ha potuto gustare i sapori di mille madeleine locali. Gli sono di sicuro tornati in mente tanti episodi dell'infanzia e dell'adolescenza, che ora, come in una sorta di autobiografia in musica, si susseguono in Vol. Uno. Gli artisti di riferimento vengono inevitabilmente evocati in continuazione: ecco Rino Gaetano, Ivan Graziani, De Gregori (nel modo in cui Dario lascia andare le frasi e governa le metriche); la paura e la voglia di citare Baglioni. Il fatto che Vol. Uno sia un disco che rimanda a un'epoca lontana non pesa però per neanche un secondo, ed è merito soprattutto della forza della scrittura, che tira fuori piccoli gioielli, capaci di sembrare dei classici già al primo ascolto: il doo-wop di Guardia '82, Italian Dandy (quasi una parodia dei Baustelle), Il pugile che abbassa le sue difese, L'imprenditore che si sfoga col rock. Musica leggera. Grande musica leggera. Viene voglia di cantarla. E Brunori ci viene incontro: nel libretto del cd ci sono pure gli accordi!

In questa intervista, facciamo con lui l'inventario di tutto quel che gira intorno al suo debutto.
Paolo Bassotti - Prima di tutto mi piacerebbe tentare un riepilogo dei tuoi spostamenti geografici. Seguendo le tue tracce, viene fuori un itinerario del genere: nasci in provincia di Cosenza, a Joggi, e cresci sempre da quelle parti, a Guardia Piemontese. Poi ci sono più di dieci anni passati a Siena e infine il ritorno in Calabria. Manca qualcosa? Come si collega la tua storia personale alla tua storia di musicista?
Dario Brunori - Non manca nulla, perfetta ricostruzione. Sicuramente...
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Video - Brunori Sas - Come stai

mercoledì 3 febbraio 2010

Zakk Wylde omaggia Les Paul sul palco dell'Iridium di New York













“Rido sempre come un matto quando vedo quei tizi con quindici cazzo di sponsor che dicono hey, ora suono questa chitarra, non quella chitarra. Beh, ho una notizia per te. Io sono fedele alla Les Paul, e lo sarò per sempre. Io le Gibson ce le ho nel sangue.” Così dichiarava Zakk Wylde a Joel McIver in un'intervista per il suo libro su I 100 più grandi chitarristi metal (un libro nel quale, tra l'altro, McIver mette Wylde al quarto posto).

Wylde è un fedelissimo delle chitarre Gibson: già da ragazzino, quando giunse per lui il momento di passare alla chitarra elettrica, chiese ai genitori una Gibson L-65 come quella di Santana, ottenendo però – con grande disappunto – solo una copia! Con gli anni, passando di successo in successo, dai dischi con Ozzy Osbourne a quelli come leader della Black Label Society, Zakk ha potuto avere le Gibson desiderate, fino ad arrivare a dare il proprio nome a una versione del suo modello preferito, la Zakk Wylde Les Paul BFG.


Tanta passione per la Gibson Les Paul si traduce ovviamente in grande rispetto per Les Paul, il geniale chitarrista e inventore, scomparso il 13 Agosto all'età di 94 anni. Per omaggiare il maestro, il 25 Gennaio Zakk Wylde è così salito sul palco dell'Iridium di Brodway, il locale nel quale Les Paul per anni si è esibito settimanalmente, anche pochi giorni prima di lasciarci. Al suo fianco ha trovato due compagni di viaggio di Les Paul: il pianista John Colianni (musicista di estrazione jazz, già nelle band di Lionel Hampton e Mel Tormè) e il chitarrista Lou Pallo (diciannove anni nel Les Paul Trio, e una serie infinita di collaborazioni nel proprio curriculum). Ai tre si è aggiunto anche...
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Video - Zakk Wylde - Little Wing
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