mercoledì 30 settembre 2009

Gimme some truth! Intervista agli Zen Circus (Prima parte)

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Gli Zen Circus hanno realizzato il loro primo disco interamente in italiano, intitolandolo, senza giri di parole, Andate Tutti Affanculo. Uno scoppio di rabbia verso tutti i mali e i mostri del Bel Paese, che allo stesso tempo riesce a essere un sincero atto d'amore. Un grande album, forte dell'apporto di Nada, Giorgio Canali e degli amici storici Brian Ritchie dei Violent Femmes e Davide Toffolo dei Tre Allegri Ragazzi Morti. Abbiamo intervistato Appino, cantante del gruppo e autore dei testi, per capire che cosa c'è dietro al furore che muove le dieci nuove canzoni.

Se Dio esistesse, benedirebbe il giorno in cui ho capito che ero bello, bellissimo, proprio come ero, così sbagliato.” Intervistare Appino degli Zen Circus vuol dire ritrovare le stesse parole che scrive per le sue canzoni, quelle schegge di poesia di strada che con Ufo (basso) e Karim (batteria) da anni trasforma in furioso e ironico rock and roll. In Andate Tutti Affanculo, Appino sembra l'Edward Norton di La venticinquesima ora, che sfinito e spietato davanti allo specchio demolisce in un uragano di “fuck you!” tutto il marcio della società, tutta l'ipocrisia, senza esitare infine a condannare anche sé stesso. Grida la propria voglia di comunicare, di farsi sentire, come se urlando si potesse finalmente dare un senso a tutta la follia che muove il conformismo, come se smascherando le bugie si potessero disinnescare le trappole che impediscono a ognuno di riconoscere una parte di sé in chi gli sta davanti. Villa Inferno, l'album dell'inizio del 2008, aveva attirato l'attenzione inizialmente per gli ospiti internazionali: il socio Brian Ritchie, Jerry Harrison (Modern Lovers, Talking Heads), le sorelle Deal (Pixies, Breeders); a emergere col tempo erano state però le canzoni in italiano, principalmente Figlio di puttana e Vent'anni, divenute le più apprezzate nei formidabili concerti degli Zen Circus. Il nuovo lavoro discende direttamente da quelle canzoni (e anche da vecchie sfuriate, come I baNbini sono pazzi) e ci mostra una band che ha raggiunto la piena consapevolezza delle proprie capacità. Tutto funziona a meraviglia, con il solito asciutto e gustoso rock and roll da buskers con l'anima punk, a sostegno di canzoni ispirate, nelle quali sfila una dolente processione di personaggi memorabili. Tutti sembrano essere allo stesso tempo vittime e carnefici, da L'egoista del brano d'apertura alle statuine del presepe tossico della conclusiva Canzone di Natale, passando per il bimbo che si fa assassino per capire la morte di It's Paradise o alla Ragazza Eroina, con la giacca usata e le scarpe firmate, che balla con allegria le canzoni di Tenco. Naturalmente viene spontaneo chiedere quanto spazio ci sia per la pietà in un tale scenario. Abbiamo pertanto iniziato domandando le ragioni di un tale approccio, per andare magari in cerca di un modo per non perdere completamente la fiducia nel futuro e negli italiani.


Paolo Bassotti: Il disco nuovo mi è sembrato una sorta di giudizio universale, nel quale viene condannata tutta l'Italia di oggi. Contiene persino più rabbia e disprezzo dei dischi precedenti. Come mai avete deciso proprio ora di registrare un album tanto aggressivo?

Appino: Il momento storico è sicuramente propizio. E poi trovavamo che di gruppi (indie?) rock che parlano come mangiano ce ne sono troppo pochi. Non siamo aggressivi in realtà, il disco, a partire dal titolo, contiene dieci ritratti di qualunquisti. Non siamo necessariamente noi, noi siamo solo il medium degli italiani qualunquisti. E il qualunquismo, fidati, è aggressivo per natura.


Non salvate proprio nessuno, in questo paese? Dove si può trovare un po' di speranza per il futuro?

Ma che! Salviamo tutto, il paese stesso. E' meraviglioso, forte, lasciatevelo dire da chi lo ha girato con gli occhi da bambino per dieci anni, in cambio di un sogno e di qualche piatto caldo. La speranza nel futuro sta nei valori: che la comunità, finalmente, venga prima della famiglia!

[Clicca qui per continuare a leggere l'intervista di PaoloBassotti a Appino degli Zen Circus su Gibson.com]

(Le fotografie sono di Ilaria Magliocchetti)

Video -
The Zen Circus – Punk Lullaby (Con Kim Deal, Kelley Deal e Brian Ritchie)

martedì 29 settembre 2009

La penna avvelenata e i 100 più grandi chitarristi metal – Intervista a Joel McIver

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Ci vogliono coraggio e fiducia in sé stessi per mettere in fila cento tipi con le facce da duri, pieni di muscoli e tatuaggi. I fan del metal, spesso davvero preparati, bruciano di entusiasmo e passione: chi decide di scrivere un libro-classifica sui migliori chitarristi, sa a quante critiche andrà incontro. Joel McIver scrive di musica, specialmente di metal e di chitarre, da talmente tanto tempo – e con tanta competenza – da potersi permettere anche un simile Giudizio Universale. Lo abbiamo intervistato proprio per parlare della sua provocatoria lista, approfittando dell'occasione per avere anche qualche dettaglio sugli altri suoi libri.

Joel McIver non si ferma davanti a niente. Da anni è uno degli autori più preparati e instancabili del giornalismo musicale, e non ha mai esitato di fronte a nessuna sfida. Ha scritto un libro dopo l'altro, sempre al servizio del lettore, analizzando ogni volta, con incessante impegno nella documentazione, sia la personalità che la produzione artistica dei suoi soggetti. Ha affrontato impegni difficili, come la biografia definitiva del gruppo che gli ha cambiato la vita, i Metallica (Justice For All – La verità sui Metallica, pubblicato nel 2004 da Arcana), o le storie di personaggi distanti dal suo mondo di chitarre rombanti, quali Ice Cube o Erykah Badu. Non si è di certo spaventato di fronte a una nuova idea pericolosa, fatta apposta per far discutere i metallari e gli appassionati di chitarra di tutto il mondo: un volume, strutturato come una classifica, intitolato I 100 più grandi chitarristi metal. Ogni sua scelta pare destinata a suscitare polemiche, a cominciare dall'esclusione di alcuni grandi nomi, tagliati fuori in quanto considerati appartenenti al mondo dell'hard rock più che a quello del metal. Tanto per fare due esempi, niente Randy Rhoads o Eddie Van Halen. Ancor più clamore è scaturito dall'ordine nel quale una penna prestigiosa come McIver ha posizionato i vari musicisti. In vetta alla classifica – mi si perdoni lo spoiler – c'è infatti sorprendentemente Dave Mustaine dei Megadeth, una scelta per nulla scontata, così come il fatto che.Jeff Waters degli Annihilator si guadagni il podio, mentre per Kirk Hammett dei Metallica non ci sia posto nella top ten. Abbiamo chiesto qualche chiarimento allo stesso McIver, ora che anche in Italia è uscito I 100 più grandi chitarristi metal, edito da Tsunami (http://www.myspace.com/tsunamiedizioni; in questi giorni, per la stessa casa editrice, esce inoltre anche Cliff Burton – To Live is To Die, dedicato al compianto bassista dei Metallica)

Paolo Bassotti: Quali sono state le reazioni dei musicisti che hai inserito (o non inserito!) in I 100 più grandi chitarristi metal? Ho letto che Dave Mustaine si è sentito onorato del suo primo posto in classifica, ma immagino anche che qualcuno possa essersi arrabbiato per via delle tue scelte.

Joel McIver: Finora le reazioni sono state tutte buone. Ho sentito circa 20 dei 100 tizi, e malgrado non tutti siano stati d'accordo con le mie scelte, sono stati tutti felici di essere stati inseriti nel libro. Non ho avuto alcun feedback negativo. Se qualcuno s'arrabbiasse, vorrebbe dire che la sta prendendo troppo seriamente – è solo un libro! Comunque mi ha reso davvero felice sapere quanto Mustaine si sia compiaciuto di essere al numero 1, perché lo rispetto davvero molto.

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Video - Black Sabbath – War Pigs

giovedì 24 settembre 2009

Svegliandosi un mattino da sogni inquieti - Primary Colours, la metamorfosi di The Horrors


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A volte il mondo del rock riesce ancora a riservare belle sorprese. È il caso di The Horrors, gruppo inglese liquidato agli esordi come poco più di una trovata commerciale, capace ora, giunto al secondo album, di dimostrare a che cosa possono servire un'impeccabile collezione di dischi e l'ossessione per i vecchi film del terrore.

Guardi The Horrors e non ci credi. Sembrano un pigro piano di marketing. Cinque ragazzetti inglesi magri come spilli, vestiti di nero da capo a piedi, i pallidi visi truccati, le pettinature prese in prestito alla sacra triade degli arruffati – Burton/Smith/Sandman. Nelle fanzine che distribuivano ai loro primi concerti non si limitavano a rivolgersi all'esercito degli indie kids coi pantaloni strettissimi sul polpaccio: si premuravano di includere una rubrica su come rendere tali pantaloni ancora più stretti, presumibilmente per parere tutti assieme finalmente delle silhouette, diafane ombre cinesi, proiettate nel teatrino a due dimensioni della musica prêt-à-porter. Facile odiarli, vero?

Anche primi indizi sulla musica – quattro anni fa – non promettevano bene. Non perché non fosse gradevole il loro revival da famiglia Addams dei grandi oscuri della new wave - riletti con una benvenuta passione per il garage degli anni '60 e per il pop d'epoca Spector. Semplicemente tutto sembrava solo una scorciatoia verso la prima pagina del New Musical Express, una trovata furba quanto le sparate dei Kasabian e dei Razorlight, da dimenticare in dieci minuti come le parodie dei Goldie Lookin Chain. Come pigliare sul serio un gruppo dove batterista e tastierista si fanno chiamare, rispettivamente, Coffin Joe e Spider Webb?

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Video
- The Horrors – Who Can Say

lunedì 21 settembre 2009

Odio l’estate? 10 grandi canzoni contro la bella stagione

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10. Latte e i Suoi Derivati – Il ballo dell’estate

Tormentoni. Grossi fastidi, ritornelli killer, pronti per lo stacchetto, per la suoneria, per il megaspot. Alcuni riescono addirittura a sopravvivere fino al film di Natale. La domanda risuona nei tg: qual è la canzone dell’estate? Basta fare un giro tra le radio (quelle vecchie con la manopola danno più soddisfazione): tra le stazioni commerciali s’alternano i soliti due pezzi freschi freschi – e già un po’andati a male – ai quali non si può sfuggire. Ti si attaccano al cervello come una medusa, e che piacere dimenticarli, almeno fino al prossimo Amarcord poco fantasioso. I più temibili arrivano corredati di ballo imperativo, una mano en la cabeza, una mano en la cintura, un passo avanti, due passi indietro, to the left, to the right, muoviamo assieme queste mani, come farebbero i marziani. Troppo. Anche Lillo è perplesso: “E che so’ un polipo?”

9. 50 Foot Wave – Clara Bow

“I mangiatori di colla amano questa triste stagione.” Per l’esordio coi 50 Foot Wave, un fantastico EP senza titolo del 2004, Kristin Hersh trova parole di inequivocabile aggressività, malgrado – come nei Throwing Muses e nei suoi brani solisti – preferisca evocare, piuttosto che spiegare. La musica è la più feroce che l’artista abbia mai prodotto. In Clara Bow la fine di una relazione e lo smascheramento delle sue ipocrisie (“non ti ho mai usato, ma avrei voluto”), hanno il sapore appiccicoso dei mesi più caldi: “con le labbra bruciate dal sole, posso lamentarmi di un’altra stupida estate.” Pare quasi di vedere il malcapitato che soccombe sotto ai suoi colpi. Kristin non fa prigionieri: “Le ossa sono fatte per essere rotte!”

8. Elvis Costello – The Other Side Of Summer

Elvis Costello è sempre stato un maestro di rabbia e sarcasmo, sfiorando la paranoia – con tanto di look “spaventoso” con barba e capelli lunghi – con l’album Mighty Like A Rose (1991), morbido nei suoni ma tagliente come ai vecchi tempi. Quale occasione migliore delle vacanze perché Elvis possa lanciarsi in un ennesimo giudizio universale, una nuova crociata contro i luoghi comuni? Il sound di The Other Side Of Summer è un omaggio alle spiagge dei Beach Boys, ma le parole fanno a pezzi ogni tentazione di sentirsi “solari,” lamentandosi per un altro compleanno indesiderato (Costello è nato in Agosto) e prendendosela con vecchi e nuovi ricchi, squallidi arrivisti che si muovono in un desolante scenario urbano, fatto di plastica e cartone. Memorabile il verso per John Lennon: “È stato o no un milionario a dire imagine no possessions?”

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Video - Adriano Celentano - Azzurro

lunedì 14 settembre 2009

Quando la città cade nella notte – Addio a Jim Carroll, poeta del punk di New York

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Jim Carroll ci ha lasciati. Aveva 60 anni, ed è morto a causa di un attacco di cuore. Con Catholic Boy aveva realizzato uno dei dischi simbolo del punk, una fusione perfetta di chitarre ruvide e poesia di strada. Ricordiamo in questo articolo il suo lavoro migliore e il suo indimenticabile percorso come scrittore.

“Mary s’è fatta un tuffo senz’acqua dalla sua stanza d’albergo, Bobby s’è impiccato in galera, Judy è saltata incontro al metrò, Eddie si è beccato uno sgarro alla giugulare. Eddie, mi manchi più di tutti gli altri, questa canzone è per te, fratello.” Jim è morto per un attacco di cuore a 60 anni, l'11 Settembre 2009, mentre stava alla sua scrivania a lavorare.

Jim Carroll, poeta, punk rocker. Ci mancherà, questo è sicuro.

People Who Died – dalla quale sono tratti i versi che aprono questo articolo – è uno straordinario resoconto, commovente e brutale, delle persone care che Carroll aveva visto cadere una dopo l'altra attorno a lui, ed è contenuta nel suo primo album, Catholic Boy (1980), uno dei capolavori del punk newyorkese. Un disco magistrale nel rompere le barriere tra rock e poesia, al pari delle migliori opere di altri giganti di strada, che al suo fianco strappavano la meraviglia e l'orrore dal cuore di New York, per farne arte, senza paura di chiamarla tale. Dischi come Horses (1975) di Patti Smith, o Blank Generation (1977) di Richard Hell & The Voidoids. L'approdo alla musica per Carroll era stato al tempo stesso casuale e inevitabile, in un ambiente tanto ricco di stimoli, incontri e fermento, che pareva ronzare come il feedback delle chitarre del CBGB's.

[Clicca qui per continuare a leggere l'articolo di Paolo Bassotti per Gibson.com]

[Clicca qui per La lista delle liste, con qualche parola in più sulla canzone People Who Died]


Video - Jim Carroll Band - People Who Died [Video Edit]

giovedì 3 settembre 2009

In fondo al rumore – Farm, il nuovo album dei Dinosaur Jr.

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Nel 2005 si è sorprendentemente riunita la storica line up dei Dinosaur Jr., che si era sciolta tra mille polemiche nel 1989. J Mascis, Lou Barlow e Murph hanno ulteriormente stupito la critica e i propri fan, registrando nel 2007 Beyond, un disco all’altezza delle loro prove migliori. A due anni di distanza esce un nuovo album, Farm, caratterizzato dalla solita unione, semplice e geniale, tra rumore e melodia. Un altro capitolo di una lunga storia, che non smette di regalare momenti di grande musica.

Nel video di Over It, canzone scelta per promuovere il nuovo album Farm, i Dinosaur Jr. azzardano spettacolari acrobazie in strada: J Mascis con lo skate, Murph e Lou Barlow con la Bmx. Cadono, si deprimono per un po’, ma poi ritornano a provare, confortati dall’appoggio morale degli amici. Tipici ragazzi americani. Ragazzi che hanno da un pezzo superato i quarant’anni. Mascis, in particolare, sembra uno che si sia addormentato a quattordici anni e si sia risvegliato trent’anni dopo, con gli stessi abiti indosso, ma con un fisico da commendatore e i lunghi capelli ormai ingrigiti. “Vesto sempre uguale, e nun so’ mai crisciut’,” cantavano i 24 Grana. Quel che è rimasto uguale è...

[Clicca qui per continuare a leggere l'articolo di Paolo Bassotti su Gibson.com]

Video - Dinosaur Jr. - Over It

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