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martedì 16 marzo 2010

I giorni della rivolta – Le chitarre Gibson e alcuni momenti chiave della storia del punk




















Quando si tratta di fare la storia del rock, le chitarre Gibson sono sempre presenti. Non fanno eccezione i giorni del punk. Anche nell'era del do it yourself, dello slogan “impara tre accordi e forma una band,” alcuni dei protagonisti trovarono nelle chitarre dello storico marchio nato a Kalamazoo gli strumenti indispensabili per esprimere rabbia, creatività e feroce ironia. Perché il punk, da un certo punto di vista, più che una rivoluzione fu una restaurazione, capace di strappare il rock'n'roll al mondo degli adulti, ai virtuosi senz'anima e ai piani di marketing delle case discografiche, per ridarlo nuovamente ai padroni di casa, i giovani. Inevitabile allora che nel '77 Londra bruciasse al suono di una chitarra figlia di quella di Chuck Berry. In questa serie di video, possiamo goderci alcuni grandi momenti punk caratterizzati dal suono delle Gibson!

Lou Reed (con Mick Ronson alla chitarra) - Hangin' 'Round

“Tu continui a fare cose che io ho smesso di fare anni fa!” ironizzava Lou Reed,consapevole di essere un precursore. Semplicemente, senza Lou Reed non ci sarebbe stato il punk. Coi Velvet Underground mise le basi di tutto quel che sarebbe stato il rock a venire, proponendo un modo visionario di intendere i testi e il rumore, shockante allora come oggi. Il brano citato è Hanging 'Round, da Transformer (1972), album della sua meritata affermazione come popstar, benedetto dall'intervento del discepolo David Bowie. Anche Bowie sarebbe sopravvissuto alla furia sanculotta del punk a venire (e la sua influenza sarebbe stata ancora più forte sul post punk e nella new wave). Dal punto di vista artistico, in Transformer, Lou e David si incontrarono alla perfezione. Il risultato fu un album formidabile per il modo in cui provocazione e crudeltà giocavano con la musica leggera e col rock più seducente. Fondamentale perché ciò potesse accadere fu il lavoro in studio del grande Mick Ronson, vero produttore dell'album, polistrumentista e chitarrista fenomenale nei brani con l'anima più punk, come Vicious e Hanging 'Round, per i quali suonò una Gibson Les Paul Custom del '68. E tra le chitarre suonate da Reed in quel periodo, va ricordata anche la Epiphone Riviera.


New York Dolls - Chatterbox

I New York Dolls anticiparono il punk sotto molti punti di vista, a partire dall'alleanza con il vulcanico Malcolm McLaren, che poco dopo di loro sarebbe diventato il commediografo del Grand Guignole dei Sex Pistols. David Johansen e i suoi erano strafatti, strafottenti, incuranti, incomprensibili (un gruppo di ragazzi etero che si concia come una gang di travestiti di strada!), e soprattutto devoti allo spirito più marcio e selvaggio del rock and roll. Le loro chitarre?Gibson, ad ogni costo. Sylvain Sylvain, insieme a Johansen l'unico membro sopravvissuto fino alla formazione attuale, con una Les Paul Junior Custom, in seguito ceduta a McLaren in cambio di un biglietto aereo – mai arrivato, ovviamente – per unirsi ai Sex Pistols! Johnny Thunders, il più carismatico e selvaggio membro della band, con una Les Paul TV del '59 e con laLes Paul Special del '55 che compare sulla copertina del secondo album della band, Too Much Too Soon (1974). Un album che includeva Chatterbox. Un pezzo così dimostra quanto il titolo del disco fosse sincero: le bambole di NewYork erano troppo punk, troppo presto.




[Clicca qui per continuare a leggere l'articolo di Paolo Bassotti su Gibson.com, con fantastici video di Clash, Sex Pistols, Damned e Buzzcocks]

lunedì 1 marzo 2010

Revolution Rock! - London Calling dei Clash, 30 anni dopo




















“Quando sei arrabbiato distruggi sempre le cose che ami,” ha dichiarato Paul Simonon a proposito della leggendaria foto nella quale spacca il proprio basso, scattata da Pennie Smith a un concerto al Palladium di New York e usata per la copertina di London Calling. Per realizzare quel doppio album, il capolavoro di una carriera piena di grandi momenti, i Clash distrussero ogni preconcetto esistente su di loro, con quella rabbia che può essere mossa solo dall'amore. London Calling segnò definitivamente la fine dei Clash come punk band e la nascita dei Clash come gruppo rock a tutto campo, aperto a ogni tipo di contaminazione musicale, capace – senza alcun senso di colpa – di piacere anche al grande pubblico. Le registrazioni della loro terza prova arrivarono in un periodo difficile. Il loro secondo album Give'em Enough Rope (1978) aveva deluso molti fan, soprattutto per la produzione di Sandy Pearlman, tanto esperto e professionale da costringere i ragazzi a estenuanti registrazioni, capaci di raffreddare il loro inconfondibile fuoco. In Inghilterra il punk sembrava ormai una moda lontana: i PIL di John Lydon imponevano la necessità del post-punk, mentre molti artisti, da Elvis Costello ai Police, dimostravano come la grande rivoluzione del '77 potesse essere un bel pretesto per rinnovare il pop. I Clash non potevano certo pretendere di rimanere per sempre quelli di London's Burning e Complete Control, avrebbero rischiato di rimanere inchiodati al ruolo di testimoni di un'epoca ormai passata. Trovarono l'ispirazione per rinascere nella tradizione. Con ansia iconoclasta, pochi mesi prima (ma all'epoca un mese valeva un secolo), nella B-Side di White Riot, intitolata per l'appunto 1977, avevano detto un secco no a Elvis, Beatles e Rolling Stones. Ora tutto pareva cambiato. Per la grafica di copertina si ispirarono proprio a....

[Clicca qui per continuare a leggere l'articolo di Paolo Bassotti su Gibson.com]

Video - The Clash - Brand New Cadillac

lunedì 14 settembre 2009

Quando la città cade nella notte – Addio a Jim Carroll, poeta del punk di New York

http://www.gibson.com/Files/AllAccess/2009/Feature-Images/tjcb-catholic-boy.jpg


Jim Carroll ci ha lasciati. Aveva 60 anni, ed è morto a causa di un attacco di cuore. Con Catholic Boy aveva realizzato uno dei dischi simbolo del punk, una fusione perfetta di chitarre ruvide e poesia di strada. Ricordiamo in questo articolo il suo lavoro migliore e il suo indimenticabile percorso come scrittore.

“Mary s’è fatta un tuffo senz’acqua dalla sua stanza d’albergo, Bobby s’è impiccato in galera, Judy è saltata incontro al metrò, Eddie si è beccato uno sgarro alla giugulare. Eddie, mi manchi più di tutti gli altri, questa canzone è per te, fratello.” Jim è morto per un attacco di cuore a 60 anni, l'11 Settembre 2009, mentre stava alla sua scrivania a lavorare.

Jim Carroll, poeta, punk rocker. Ci mancherà, questo è sicuro.

People Who Died – dalla quale sono tratti i versi che aprono questo articolo – è uno straordinario resoconto, commovente e brutale, delle persone care che Carroll aveva visto cadere una dopo l'altra attorno a lui, ed è contenuta nel suo primo album, Catholic Boy (1980), uno dei capolavori del punk newyorkese. Un disco magistrale nel rompere le barriere tra rock e poesia, al pari delle migliori opere di altri giganti di strada, che al suo fianco strappavano la meraviglia e l'orrore dal cuore di New York, per farne arte, senza paura di chiamarla tale. Dischi come Horses (1975) di Patti Smith, o Blank Generation (1977) di Richard Hell & The Voidoids. L'approdo alla musica per Carroll era stato al tempo stesso casuale e inevitabile, in un ambiente tanto ricco di stimoli, incontri e fermento, che pareva ronzare come il feedback delle chitarre del CBGB's.

[Clicca qui per continuare a leggere l'articolo di Paolo Bassotti per Gibson.com]

[Clicca qui per La lista delle liste, con qualche parola in più sulla canzone People Who Died]


Video - Jim Carroll Band - People Who Died [Video Edit]

mercoledì 4 giugno 2008

In un sogno balordo




















"Toccava a me, con il battello che era appena passato, tutti in piedi a urlarmi di gettarmi, quei sadici bastardi.
Non ho pensato più che tanto, non mi sono tolto nemmeno le scarpe, sono saltato in un sogno balordo, che mi è durato fin quando sono arrivato in fondo. La sensazione non è affatto di movimento, ma piuttosto di essere sospeso di fronte alla parete a precipizio, a mezz'aria, con l'acqua che ti viene incontro a tutta birra. Ho battuto duro, ma non sono affondato più che tanto, sono tornato su in tempo per vedere i turisti che applaudivano. Poi ho raggiunto gli altri a nuoto sulla riva e ci siamo girati, ci siamo tirati giù il costume e abbiamo mostrato le nostre lune a quei vecchi segaioli sul battello che si allontanava diretto all'Hudson."
(Da "Jim entra nel campo di basket/The Basketball Diaries" di Jim Carroll, traduzione di Tullio Dobner)

Video The Jim Carroll Band & Amy Kanter - Day And Night

martedì 4 marzo 2008

What Do I Get? La mia recensione di "30" dei Buzzcocks su Sentireascoltare
















Si vive, si scrive. Pure per Sentireascoltare. Qualche giorno fa è stato pubblicato il mio primo pezzo per loro, la recensione di "30", deludente live dei grandissimi Buzzcocks.
Inizia così:

Chi l’avrebbe mai detto che lo slogan “No Future” potesse presagire un eterno presente? Sono passati tre decenni dal Big Bang del Punk inglese, e ritroviamo i protagonisti di quei giorni intenti a reiterare le pose che più li rappresentano, immobili in un gesto, come statuine di un presepio rock. Ecco Mick Jones che si rimbocca le maniche, i Sex Pistols a caccia di insulti e bei soldoni, Howard Devoto che se ne sta in disparte.

I Buzzcocks, come hanno sempre fatto, mettono in primo piano le canzoni. Le stesse canzoni che alla fine degli anni ’70 trasformarono in musica l’urlo muto d’ogni cameretta, ripetendo a ogni ragazzo le sue stesse domande. Voglio solo un amore qualunque, e invece che cosa mi tocca? Ti sei mai innamorato di qualcuno del quale non dovevi innamorarti?

Per leggere il seguito, cliccate qui.

Video Buzzcocks - Promises

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