venerdì 30 novembre 2007

Il metodo vichingo
















Dopo il post sul perdono di qualche giorno fa, eccone uno finalizzato a ristabilire l'equilibrio cosmico. Di recente Julian Cope, maestro di vita e di Rock 'n' Roll, ha risposto a alcune domande dei lettori di Uncut. Un certo Rik ha tirato in ballo tre nemici storici dell'Arcidruido: Ian McCulloch (cantante degli Echo & The Bunnyman, prima dei quali, ancora adolescente, assieme a Cope e a Pete "Wah!" Wylie aveva ideato i leggendari Crucial Three), David Balfe (che era al suo fianco nei Teardrop Explodes) e Bill Drummond (ex manager, in seguito leader del gruppo situazionista KLF, autore del brano Julian Cope is Dead). Questo è stato l'interessante botta e risposta:
Rik: -Se per assurdo Ian McCulloch, Bill Drummond e David Balfe venissero da te e si scusassero per le cose fatte in passato, potresti perdonare e dimenticare?
Julian Cope: -No, perchè non sono cristiano e non credo nel perdono. Non li perdonerei, ma siccome ho un approccio alla vita profondamente Vichingo, mi piacerebbe avere la possibilità di garrotarli tutti e tre, e procedere alla loro esecuzione sommaria in qualche pantano danese, come sacrificio in onore di Frig o Freya.

Postilla finale: se ingrandite la foto, potete leggere sul maico della chitarra la scritta KOTJMF. Che vuol dire, vi chiederete? Kick out the jams, motherfucker!

Video The Teardrop Explodes - Reward

mercoledì 28 novembre 2007

Priorità











"Usa, gli scienziati scoprono che il Par-4 produce una proteina in grado di attaccare le cellule tumorali e non le sane".
Nel momento in cui scrivo questa bellissima notizia viene data del sito de La Repubblica. Come "spalla". La notizia d'apertura è questa:
"Veltroni: con Udc passi avanti. Cdl, scontro Fini-Berlusconi"

martedì 27 novembre 2007

Un verso, una parola
















Quanta autobiografia c'è nei testi di Bob Dylan?
Il problema, complesso e interessante, è rilevante in relazione a ogni fase del suo percorso artistico. La scelta stilistica degli ultimi tre album, nei quali molti dei versi non sono altro che dottissime citazione di classici del folk e del blues, non fa che complicare la questione. Del resto la vita di Dylan è stata un perenne seguire le tracce della musica che l'ha formato (prestate bene attenzione al monologo conclusivo di Cate Blanchett in I'm Not There), quindi che cosa potrebbe essere per lui più personale del far rivivere i propri miti? I nuovi dischi sono un vero tesoro sia se si va in cerca del riferimento e dell'anacronismo, sia se si aspetta il momento in cui Dylan deraglia e inserisce qualcosa di imprevisto: battute, giochi di parole, pensieri sull'Apocalisse e su Alicia Keys. In Modern Times, uscito nell'estate del 2006, c'è un verso di When The Deal Goes Down che lascia sgomenti per la sua semplicità e la sua potenza. We learn how to live/and then we forgive. Impariamo a vivere e poi perdoniamo. Con l'ausilio della rima baciata Dylan evita il prevedibile paradosso che avrebbe ottenuto concludendo con to forget (impariamo a vivere e poi dimentichiamo), per mirare più in alto, per parlare di perdono. E' un verso che nella sua interpretazione suona sincero in maniera straziante, facendoci capire che certe cose solo un uomo anziano le può cantare e capire con tanta convinzione. Dentro queste parole c'è Dylan in carne e ossa , non solo i suoi sogni, non solo il suo mito.

In visita a casa di un amico, mi fa entrare nella sua camera, che è una sorta di santuario. Ovunque immagini di personalità legate al mondo della religione: Gesù Cristo, santi italiani e santoni indiani (nel mezzo, forse non casualmente, c'è pure Maradona!). Il mio amico mi parla di spiritualità. Io lo ascolto con concentrazione e rispetto, ma proprio non è il mio mondo. Non mi aiuta il fatto che, per motivi vari, sono insolitamente elegante e insolitamente senza scarpe. A un certo punto nel suo discorso compare una parola insolita che scuote la mia attenzione. Mi sta parlando di misericordia. Da quanto tempo non sentivo nessuno pronunciare la parola misericordia?

Video Bob Dylan - When The Deal Goes Down

lunedì 26 novembre 2007

Splash?
















Un uomo entra in un caffè.
Consuma, paga ed esce, senza nemmeno concedersi il tempo di un tuffo nell'umorismo più risaputo.

Fatti di sangue
















A che serve la cronaca nera?
A rinnovare la consapevolezza e la pietà per l'infinito orrore possibile? O, piuttosto, a tramutare le tragedie dell'umanità in quotidiana letteratura, in pezzi di teatro Grand Guignol, per farle apparire ai nostri occhi come nient'altro che storie?
Il Gazzettino di oggi titola "Disabile psichico uccide il padre a colpi di accetta".
Non ho potuto fare a meno di pensare anche che l'assassino ha involontariamente realizzato una perfetta e terribile sintesi tra Delitto e castigo e I fratelli Karamazov.
E' letteratura postmoderna, spiazzante più dei giochi di parole e sangue dell'ultima penna cannibale. La natura reale del fatto, la vera pena delle persone coinvolte, il dolore e lo sgomento, restano come dettagli sullo sfondo. Bisogna concentrarsi per mettere a fuoco delle premesse tanto scomode. Ci vuole coraggio per portarle in primo piano, per poter realizzare, stupefatti, quanto dobbiamo pagare per poter essere spettatori dello show.

sabato 24 novembre 2007

The Avett Brothers e le cose buone che conosciamo
















Escono tanti, tantissimi dischi con lo stesso tipo di musica che suonano The Avett Brothers, un genere che alcuni chiamano Alt-Country, altri Americana, altri ancora No-Depression. Sono dischi raramente inascoltabili, spesso gradevoli, ma ancora più spesso indistinguibili l'uno dall'altro. Gli Avett, che hanno da poco fatto uscire il loro nuovo album, Emotionalism, riescono sorprendentemente a farsi notare. Innanzitutto per la loro capacità compositiva, che sa regalare un hook pop tanto alle ballate quanto ai pezzi più energici (ascoltate, ad esempio, l'handclap in Matrimony). Conquistano poi perchè, nell'ostentare la propria emotività, sono particolarmente onesti e ingenui, al punto di sfidare il ridicolo in canzoni come The Ballad of Love and Hate. Mentre stiracchiano una fragile metafora ben oltre il punto di rottura, riescono però, nel bel mezzo dell'impresa impossibile, a sfiorare per qualche istante la Bellezza. Questa è la mia traduzione del testo:

La ballata di Amore e Odio

Amore scrive una lettera e la spedisce ad Odio

“Le mie vacanze finiscono. Rincaserò tardi.

Il tempo era bello e l’oceano era grande

Non vedo l’ora di rivederti.”

Odio legge la lettera e la butta via

“A nessuno qui interessa se vai o rimani

mi sono a malapena accorto che eri andata via.

Ti vedrò oppure no, che importa.”

Amore canta una canzone mentre attraversa il cielo.

L’acqua sembra più blu attraverso i suoi begli occhi

E tutti lo sanno, sia quando vola

sia quando scende giù.

Odio cammina per la strada a testa alta

Saluta ogni straniero e ogni sbandato

e dà la mano a ogni solitario che incontra

con uno sguardo serio sul viso.

Amore arriva sana e salva, con una valigia,

portando con lei le cose buone che conosciamo.

Una ragione per vivere e una ragione per crescere.

Per fidarsi. Per sperare. Per prendersi cura.

Odio siede da solo sul cofano della sua macchina,

senza molto riguardo delle stelle o della luna,

pigramente scolando il fondo d’una bottiglia

della roba più forte che tu possa bere.

Amore prende un taxi, lo guida un giovane uomo.

Appena la vede, la speranza riempie i suoi occhi,

ma le lacrime la seguono, alla fine della corsa,

perché potrebbe non vederla mai più.

Odio arriva a casa fortunato d’essere ancora vivo.

Sbraita contro il marciapiede e la macchina.

L’orologio in cucina dice 2:55

E l’orologio in cucina è lento.

Amore ha aspettato, paziente gentile,

desiderando solo una telefonata, un qualunque segno

che colui al quale tiene, quel pazzo,

tornasse salvo tra le sue braccia.

Odio si avvicina inciampando e attende sulla porta,

lo stanco capo chino, lo sguardo al pavimento.

Dice “Amore, mi dispiace” e lei dice “Per cosa?

Io sono tua, tutto qui, che importa.

Non sarei dovuta stare via tanto a lungo.

Io sono tua, tutto qui, per sempre.”

Tu sei mio, tutto qui, per sempre.


E queste sono un paio di canzoni da Emotionalism, messe a disposizione dalla Ramseur Records.

MP3 The Avett Brothers - Matrimony
MP3 The Avett Brothers - Will You Return?

venerdì 23 novembre 2007

Si fa quel che si può













Presentato il nuovo simbolo, realizzato da Nicola Storto, designer molisano di 25 anni. Non indica niente. Non dice niente (e che pena quell'avanzo d'Ulivo, messo lì come la palma benedetta inchiodata in cucina un anno intero). Non è un simbolo, è un logo. L'unico suo messaggio pare essere: non abbiamo (più) sogni. Senza visione non c'è politica (vedi "La politica al tramonto", di Mario Tronti, Einaudi 1998), senza parzialità non c'è partito. C'è solo piccola amministrazione. Fine del futuro, inizia l'eterno presente.

giovedì 22 novembre 2007

Mick Jagger dice le parolacce
















Licorice Pizza ha linkato l'mp3 di una curiosa stranezza, mai uscita ufficalmente e per questo molto ricercata dai fan dei Rolling Stones. Nel 1972 gli Stones avevano in programma l'uscita di una raccolta di versioni alternative e rarità, un progetto giunto in fase tanto avanzata da avere un proprio numero di catalogo, copertina e l'assurdo titolo di Necrophilia. Otto brani della tracklist divennero parte del più ragionevolmente titolato Metamorphosis, uscito nel 1975. Andrew's Blues venne invece destinata all'oblio. Non avrebbe potuto essere altrimenti. L'Andrew del titolo è il manager storico degli Stones, Andrew Loog Oldham, del quale vengono descritti dettagliatamente alcuni piacevoli passatempi: "Fucked all night and sucked all night, and tasted that pussy..." Ben presto si trova però a dover fronteggiare la concorrenza di Edward Lewis, grande capo della casa discografica DECCA: "Come on and get that cunt, Sir Edward!" Jagger si lascia poi andare a una gustosa imitazione del proprio manager, rilevando che "The Rolling Stones are a great fuckin' group with a lot of balls", mentre quel pazzo di Phil Spector "is a lot of shit". Più avanti nel testo si ricorda improvvisamente delle buone maniere e manda un ringraziamento a Gene Pitney.
Il pezzo è quello che è, un blues probabilmente in larga parte improvvisato, interessante soprattutto per il gusto infantile con il quale Jagger si diverte con le four letter words.
Ascoltatelo voi stessi.

MP3 The Rolling Stones - Andrew's Blues

Ad esempio c'è una mia amica che odia i ragni
















Ho trovato questo interessante test di ingenua sociologia nel sito superdickery.com, una vera miniera di curiosità dal mondo dei comics americani. Non è specificato nè su quale albo sia stato pubblicato, nè in quale anno. Entriamo un poco nel dettaglio. Viene chiesto (in quello che, dalla A iniziale, possiamo ritenere solo il primo di una serie di quesiti) di esprimere il proprio grado di apprezzamento per una serie molto eterogenea di item. Le possibili risposte, con dispendioso impiego di punti esclamativi, sono: "Ugh! Non mi piace", "Um! Mi piace!", "Così-così! Tiepido", "Non ne penso niente! Vuoto".
Questo è invece l'elenco degli item sottoposti a giudizio:
  • Alligatori
  • Battisti
  • Cavolo
  • Cattolici
  • Polizieschi
  • Stranieri
  • Indiani
  • Ebrei
  • Musica da capelloni
  • Negri
  • Ragni
A pensarci bene, l'espressione più inquietante è "Musica da capelloni", che data inevitabilmente il test non ai bui anni trenta, ma perlomeno alla metà degli anni sessanta, ai giorni immediatamente seguenti alla British invasion e alla Beatlemania. A quarant'anni di distanza è naturale trovare ridicola una tanto sfacciata ostentazione di intolleranza, per di più resa surreale da alcune presenze incongruenti. Qualche sera fa mi sono però trovato a discutere con un mio coetaneo accanito sostenitore della teoria del complotto sionista. Proprio ieri, una mia allieva di tredici anni, in una scheggia di conversazione originatasi da alcune considerazioni sull'Otello, ammetteva invece candidamente di trovare sgradevoli le coppie miste. Dite un po', sinceramente, vi piacciono gli alligatori?

mercoledì 21 novembre 2007

Uno, due, tre, Distortion
















Il 15 Gennaio uscirà il nuovo album dei Magnetic Fields, Distortion. Finalmente scopriremo se Stephin Merritt ha trovato il coraggio di affrontare il meraviglioso gigante da lui creato nel 1999, le tre ore di dissertazioni sul pop e sull'amore di 69 Love Songs. Dopo quel triplo capolavoro, tutti i suoi progetti sono sembrati delle fughe dalla responsabilità, in particolare i, il più recente album dei Magnetic Fields, , che, a partire dalla grafica, appariva come una piccola postilla al suo predecessore (un po' come per Prince era stato Lovesexy , venuto subito dopo l'enorme Sign 'O' the Times). In questi anni Merritt ha fatto di tutto, scrivendo per il teatro (Showtunes) e per il cinema (Eban & Charlie e Pieces of April) fino a un recente esperimento che lo ha visto comporre una canzone, Man of a Million Faces, partendo da una fotografia (la foto che accompagna questo post) e avendo a disposizione 48 ore da passare sotto allo sguardo delle telecamere, in una sorta di reality show del processo creativo. Questa strana impresa ci ha permesso tra l'altro di scoprire qualche dettaglio sul suo modo di lavorare. A quanto pare Merritt per trovare l'ispirazione ha bisogno del chiasso di qualche bar. Una volta arrivata l'idea giusta, segue il "metodo Abba": si rifiuta di appuntarsi la melodia appena inventata, convinto che valga la pena lavorare solo su temi facilmente ricordabili. Tornando a Distortion, che cosa ci propone come antipasto del suo nuovo disco uno dei migliori autori di testi in circolazione? Un brano strumentale, se si eccettua l'euforica ripetizione del titolo. La bella sorpresa di Three-Way è la chitarra surf, affogata in un muro del suono in stile Phil Spector, molto distante dagli ambienti spogli nei quali vivevano molti personaggi di 69 Love Songs.
Postilla: ho appena realizzato come mai Three-Way possa suonarmi così familiare. La sigla di Futurama!

MP3 The Magnetic Fields - Three-Way
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