sabato 25 luglio 2009

La costruzione del sogno – Il ritorno in Italia di Bruce Springsteen & The E Street Band

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In questo Luglio di grande musica dal vivo, Bruce Springsteen & The E Street Band sono tornati in Italia per tre date del tour di Working On A Dream: il 19 a Roma, il 21 a Torino e il 23 a Udine.

Abbiamo assistito al concerto nella capitale, ennesima dimostrazione di classe e forza da parte di uno dei più grandi gruppi live della storia del rock.

“Stasera costruiamo una casa di musica, spirito e rumore.” Bruce Springsteen s’è fatto tradurre un discorsetto in italiano, per dare un motivo in più per urlare – come se ce ne fosse bisogno – ai quarantamila dello Stadio Olimpico di Roma. La sua pronuncia è stentata (facile immaginare la sua anziana e vispa mamma, Adele Zirilli, che scuote il capo dietro le quinte), ma la frase racchiude bene in poche parole il senso profondo di quel che succede a un concerto di Bruce con la E Street Band. Succede di scoprire che la musica rock può essere ancora condivisione, esperienza al contempo collettiva e individuale, nella quale i contenuti, l’introspezione, la poesia, sono un tutt’uno col divertimento e con l’entusiasmo scatenato. Il rock’n’roll torna a vivere, ancora una volta, dannata bestia che s’ostina a non morire, a non soccombere alle mode, al mercato, alla chiacchiera. Certo ci vogliono la musica e il rumore giusti. La E Street Band da anni erige il muro del suono più solido e affidabile che si possa immaginare: se la leggenda vuole che la Muraglia Cinese si veda dalla Luna, allora l’intro di Badlands, che apre il concerto, deve essere visibile pure da Marte. È l’istantanea evocazione di un mondo intero, solcato da strade al termine delle quali – se mai ci fosse la fine – è inevitabile un traguardo che prende la forma dei propri sogni. Un sogno unico per ogni ascoltatore, e al tempo stesso, almeno per una sera di musica, un unico sogno per tutti (il “dream of life” di The Rising, il “runaway American dream” di Born To Run).

Sul palco la E Street Band è finalmente libera dalla produzione di Brendan O’Brien, che su Magic (2007) e Working On A Dream (2009) è quasi riuscito nell’assurdo intento di farla sembrare un gruppo qualsiasi. Verrebbe da dire che ci troviamo di fronte alla solita E Street Band, se non fosse che manca il tastierista Denny Federici, scomparso nell’Aprile del 2008 (al suo posto c’è Charlie Giordano, uno con il giusto curriculum, arruolato ai tempi delle Seeger Sessions). Gli altri sono però presenti all’appello, in forma splendida, malgrado gli anni passino. C’è la sezione ritmica, col basso di Gerry Tallent e la batteria di Max Weinberg, rientrato dopo la breve supplenza di suo figlio Jay, c’è il piano di Roy Bittan. Clarence Clemons è vestito come il wrestler The Undertaker (probabilmente hanno anche la stessa taglia): la stazza gli impone di stare spesso seduto, ma quando è chiamato in causa, lascia scorrere le dita con lo smalto d’oro sul suo sax, e ricrea la consueta magia dolce e brutale. Ai due lati di Bruce, troviamo le sue guardie del corpo con la chitarra, Nils Lofgren, protagonista di Prove It All Night grazie a uno straordinario assolo, e Little Steven, sempre più simile al fratello pirata di Ernest Borgnine, eppure irresistibile, insostituibile spalla del capo.

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Video - Bruce Springsteen & The E Street Band - Badlands


venerdì 17 luglio 2009

Sequestrate 861 false chitarre Gibson, i colpevoli condannati alla reclusione

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Il recente arresto e la condanna a tre anni di prigione per Li Dan, di Pechino, hanno rappresentato una vittoria storica contro la proliferazione di chitarre contraffatte. Non solo sono state confiscate 1200 chitarre, ma con l’arresto di Li Dan sono stati ripagati anni di lavoro da parte della Gibson, della Coalizione contro la contraffazione delle chitarre elettriche (EGACC) – che comprende Fender, Gretsch, Ibanez e Paul Reed Smith – e delle autorità cinesi.

Dan gestiva paylessguitar.com.cn, paylessguitars.com, musoland.com.cn e musoland.com, siti web che proponevano ai clienti di tutto il mondo false chitarre dal prezzo molto economico, reclamizzandole come originali Epiphone, Fender, Gibson, Gretsch, Ibanez, e Paul Reed Smith. Delle 1200 chitarre confiscate al magazzino e al punto vendita di Li Dan, 861 avevano i finti marchi della Gibson e della Epiphone.

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martedì 14 luglio 2009

Io è un altro (e sta suonando il piano) – Intervista a Stefano Bollani

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Da ragazzino Stefano Bollani voleva essere Adriano Celentano. Non voleva essere come lui, voleva proprio essere lui. È diventato invece uno dei più grandi pianisti jazz, un artista conosciuto dagli appassionati di tutto il mondo, conquistando allo stesso tempo notorietà presso il grande pubblico grazie alle sue mille attività collaterali. Che cosa hanno in comune il Bollani che incide per la seriosa ECM e quello che diverte le platee con le proprie ironiche improvvisazioni? Che cosa lega il Bollani pianista (al solito multiplo: solo, visionario, carioca, danese…) con le altre versioni di sé, che parlano in radio, scrivono romanzi, fanno persino la pubblicità dell’acqua minerale? Per discutere di questo e altro lo abbiamo intervistato, ottenendo anche qualche anticipazione sulle sue mosse future. L’occasione per incontrarlo è stata la presentazione di La sindrome di Bollani, un bel libro a più mani, che prova a sbrogliare il filo di una matassa tanto intricata.

Il problema di sezionare una rana è che magari riesci pure a capire perché la rana salta, ma di solito va a finire che la rana non salta più. È per questo che non si possono spiegare le barzellette. Valentina Farinaccio, Marco Sutera e Vincenzo Martorella sono invece riusciti a prendere quel misterioso anfibio del jazz che è Stefano Bollani, a tagliarlo a pezzi per studiarlo, decifrarlo, spiegarlo, restituendocelo alla fine più vivo che mai. L’hanno fatto in La sindrome di Bollani, un libro, in uscita in questi giorni per Vanni Editore, che accetta la sfida di dover render conto delle molteplici nature dell’artista: pianista jazz straordinario, con aperture inevitabili a ogni possibilità; cantante, showman, conduttore radiofonico, scrittore, imitatore. Hanno vinto la sfida ricorrendo a diverse voci e registri (ai tre autori si aggiungono anche David Riondino, nella prefazione, e lo storico compagno di viaggio e di musica Enrico Rava, nella postfazione). La sindrome di Bollani è in parte biografia – lavoro doveroso, visto il percorso zigzagante di Stefano – e in parte saggio critico, nel quale Martorella stempera con un’invadente ossessione per l’ironia la propria inattaccabile competenza; gran parte del libro è inoltre dedicata a una lunga intervista, realizzata negli anni principalmente dalla Farinaccio, che consente a Bollani di dire la sua sulla propria storia, sul suo perenne ritornare, malgrado le mille digressioni, all’amore originale per il jazz. Nella presentazione alla stampa del volume, Bollani riconosce di aver utilizzato le conversazioni per una sorta di involontario e necessario percorso di autoanalisi, per capire ad esempio il proprio rapporto col pubblico nei concerti per piano solo.

Intervisto Bollani dopo la presentazione, e prima di un concerto dedicato a Gershwin all’Auditorium di Roma. Sul palco si dimostrerà ancora una volta capace di rimanere sempre sé stesso pur cambiando faccia, negli intensi standard al piano da solo così come nella Rapsodia in blu con l’orchestra condotta da Xian Zhang.

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Video - Stefano Bollani - Antonia

Video - Stefano Bollani - Copacabana

lunedì 13 luglio 2009

L’ultimo urlo, l’ultima parola - Journal For Plague Lovers, il nuovo album dei Manic Street Preachers

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Per i testi del loro nuovo album, i Manic Street Preachers hanno deciso di utilizzare i versi lasciati dal loro chitarrista Richey James Edwards prima della sua misteriosa scomparsa, avvenuta nel 1995. Le parole di Richey, nel frattempo divenuto uno dei tragici miti della storia del rock, hanno dato nuova energia al gruppo gallese. Journal For Plague Lovers, registrato con Steve Albini, è uno dei migliori lavori della band: crudele, commovente, ironico, un ideale seguito di The Holy Bible, l’ultimo disco realizzato con Edwards nel 1994.

Richey James Edwards è scomparso nel nulla nel Febbraio del 1995. Le indagini hanno cercato di ricostruire la storia dei suoi ultimi giorni, partendo da qualche indizio lasciato per strada, ripercorrendo il suo viaggio solitario tra Londra, Cardiff e Newport, fermandosi però all’ultima traccia: la Vauxhall la parcheggiata accanto al Severn Bridge, celebre meta di anime suicide. Nel Novembre del 2008, persino i famigliari più stretti si sono rassegnati a considerarlo, in via ufficiale, presumibilmente morto.

Seppur molto limitato come chitarrista, Richey era il componente più carismatico dei Manic Street Preachers, fondamentale coautore dei testi e delle idee della band, simbolo della loro immagine di rivoluzionari, devoti al glam, alla politica e al rock’n’roll. Non scherzava Richey, sensibile e autodistruttivo, straziato da alcolismo, depressione e anoressia; un assurdo incrocio tra la sensibilità di Morrissey e l’ottuso perdersi di Syd Vicious, ben riassunto nel verso narcisista e nichilista che scrisse per Faster: “So di non credere a niente, ma è il mio niente”. Non scherzava quando nel 1991 trovò una pronta risposta a un giornalista che lo accusava di fingere, che lo sfidava a dimostrare i suoi veri valori. Rispose incidendosi sul braccio con un coltello la scritta “4 REAL.”

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Video Manic Street Preachers - Jackie Collins Existential Question Time


giovedì 9 luglio 2009

Intervista a Carmelo Pipitone, chitarrista dei Marta Sui Tubi – Con la vecchiaia si diventa più bastardi

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I Marta sui tubi ti pigliano in giro. Poi ridono con te, ti si scagliano contro, e a sorpresa ti spalancano il cuore, mostrandoti una ferita e un’idea di bellezza. Riescono a fare tutto questo anche nell’arco di una sola canzone, saltellando da un capo all’altro di mille invenzioni. I loro brani non stanno fermi mai, non c’è da fidarsi. Anche oggi che sul palco salgono in cinque, la band ruota ancora intorno ai due fondatori: Giovanni Gulino, con la sua voce imprendibile e lunatica, e Carmelo Pipitone, capace di tirare fuori fiamme e nuvole dalle sue chitarre acustiche Epiphone e Gibson. Abbiamo intervistato proprio Carmelo, per conoscere la sua storia e per parlare dei Marta sui tubi, una band che non ha alcuna intenzione di smettere di stupire. E vuole anzi diventare sempre più cattiva.

Paolo Bassotti: Vogliamo cominciare dall’inizio?

Carmelo Pipitone: Proprio dall’inizio, quando mi hanno regalato la prima chitarra?

Esattamente!

Avevo undici anni quando mia nonna mi regalò una meravigliosa chitarra classica da centomila lire. Tu pensa che il primo strumento che avevo iniziato a suonare era stata una pentola, attaccata a un pezzo di compensato con un buco in mezzo: suonavo cose che facevano veramente pietà! Così mio padre andò da mia nonna e le disse: “Vuoi comprargli una chitarra, che sta diventando lo zimbello di tutto il paese?” Non conoscendo nessuno che suonasse e che potesse darmi delle dritte, accordai la chitarra in questa maniera: do, re, mi, fa, sol, la! Senza il si. Perché le note sono sette, e ho pensato: si farà così. E sono andato avanti in questo modo per un anno, poi ho incontrato uno che m’ha detto: “Che cazzo stai a fa’?” e mi ha evitato di fare brutte figure in giro. Purtroppo non ho mai avuto il modo di studiare con un insegnante, mi piacerebbe poter tornare indietro.

Quando in seguito hai preso confidenza con la chitarra, c’era qualche chitarrista che provavi a imitare?

All’inizio, essendo un fringuello, ascoltavo un po’ di tutto, anche robe estreme. Metal. Mi sono spostato persino dalla chitarra classica a un’Ibanez elettrica, che chiaramente in seguito è stata bruciata! Avevo come mito un ragazzo di Marsala, che sapeva suonare da dio la chitarra elettrica. Una sera lo trovo a un falò, una di quelle festicciole da spiaggia, con l’alcol, le ragazze, le prime limonate. Lo vedo alle prese con una chitarra classica e scopro che in realtà non sapeva suonare! Ho pensato: no, io non voglio essere così. Ho deciso di tornare alla chitarra acustica, di ammazzarmi di studio, e poi eventualmente passare di nuovo alla chitarra elettrica, solo quando avrei potuto suonarla realmente bene. Questo passaggio poi non è mai avvenuto, sono rimasto fedele all’acustica, che per me è lo strumento fondamentale.

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Video - Marta sui tubi - L'unica cosa

martedì 7 luglio 2009

Never Can Say Goodbye – La voce di Michael Jackson

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Questo è un altro articolo su Michael Jackson. In questi giorni in tanti hanno provato a ricavare la morale della sua tragica favola. C’è chi si è scandalizzato e chi ha scrollato le spalle. Qualcuno ha cercato di far piangere, qualcuno di far ridere, qualcun altro ha provato a tenere il conto dei successi, dei processi e delle leggende, magari aggiornando il tutto con l’appello delle comparse del tetro circo della morte. Qui si parla di musica. Partendo da una bellissima canzone di quasi quaranta anni fa.

Never Can Say Goodbye, uscita nel Marzo del 1971, è diversa dai cinque fortunati singoli dei Jackson 5 che l’hanno preceduta, a partire dal folgorante debutto in Motown nel Novembre del ‘69. Di certo è distante dagli irresistibili brani da ballare scritti da The Corporation (Perren, Richard e Mizell, con il patron della Motown, Berry Gordy): I Want You Back, ABC, The Love You Save e Mama’s Pearl (tre numeri uno e un numero due, per la cronaca). Segna una svolta anche rispetto all’accorata ballata I’ll Be There, con la quale i Jackson 5 spazzano via i dubbi di chi li aveva bollati come un gruppo di bubblegum music. In Never Can Say Goodbye, il lead singer, Michael Jackson, malgrado...

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Video - Michael Jackson - Rock With You

domenica 5 luglio 2009

La legione dei supereroi – Alla scoperta di 10 supergruppi rock alternativi

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Dai tempi di Blind Faith e CSN&Y, nel mondo del rock è tipico che una star, in cerca di successo o di un po’ di svago, formi una band in compagnia di musicisti altrettanto celebri. Di supergruppi ne abbiamo visti tanti, alcuni dei quali capaci di riscuotere grandi consensi. In questo articolo non parleremo dei soliti nomi, come ELP e Traveling Wilburys, ma ci soffermeremo invece su progetti inconsueti e minori. Seguiremo le tracce di Pearl Jam e Smashing Pumpkins lontano dalla base, ricostruiremo i percorsi a zigzag di Damon Albarn, Peter Buck, Jack White e Johnny Marr. E scopriremo che può capitare di tutto, anche che il cantante degli Hanson finisca a suonare con uno dei Cheap Trick.

10. Tinted Windows

Quando all’inizio del 2009 il mondo ha fatto la conoscenza dei Tinted Windows, alcune domande sono passate per la testa degli appassionati di musica: che cosa ci fanno questi quattro assieme? Come diavolo si sono conosciuti? Possibile che non siano riusciti a trovare un nome migliore?

I musicisti coinvolti provengono da gruppi distanti nello spazio e nel tempo, coprendo tre generazioni di rock americano. Il “grande vecchio” è Bun E. Carlos, classe 1951, batterista dei fenomenali Cheap Trick. Troviamo poi l’ex chitarrista degli Smashing Pumpkins, James Iha, e il bassista dei Fountains Of Wayne, Adam Schlesinger, entrambi di circa quindici anni più giovani di Carlos. Approssimativamente la stessa distanza di età li separa dal cantante, Taylor Hanson, un tempo celebre come frontman dei fratelli Hanson, quelli dell’indimenticabile hit bubble-gum Mmmbop (c’è ancora qualcuno convinto che Taylor sia una ragazza? Provi a raccontarlo ai suoi quattro figli!)

I Tinted Windows hanno trovato un punto di incontro in un power pop solare e spensierato, di certo non imprevedibile guardando i curricula dei quattro (anche Iha non è nuovo alla leggerezza: a parte l’ospitata in Welcome Interstate Managers dei Fointains Of Wayne, il suo album solista Let It Come Down evocava la California in ogni dettaglio). Hanno da poco pubblicato un album omonimo, piacevolmente inconsistente, perfetto per l’estate, con testi spessi come una mentina sottilissima.

[Clicca qui per leggere il seguito della classifica, scritta da Paolo Bassotti per Gibson.com]

Video - Tinted Windows - Kind Of A Girl

giovedì 2 luglio 2009

“La musica ci passa attraverso” – Intervista a Corrado Rustici

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La passione per la musica ha portato Corrado Rustici a vivere esperienze straordinarie. Il chitarrista napoletano è stato protagonista, con i Cervello e con i Nova, della stagione d’oro del prog italiano; ha preso parte alla registrazione di album di superstar quali Aretha Franklin, Whitney Houston, Herbie Hancock e George Benson; ha rinnovato il sound delle produzioni italiane, contribuendo ai successi di Zucchero, Elisa, Bocelli e Negramaro. Lo abbiamo contattato al telefono a San Francisco, per parlare di tutto questo e di molto altro: la ricerca della conoscenza, i suoi dischi solisti, i piani futuri con Ligabue. E l’amore per la Gibson SG del ’63!

Paolo Bassotti - Come t’è venuta la passione per la musica? Come hai cominciato a suonare?

Corrado Rustici - Cominciai all’età di cinque anni, suonando il mandolino con mia nonna. Era proprietaria di alcuni mandolini molto antichi, che suonava ogni tanto e custodiva gelosamente. Mi insegnò un paio di canzoni napoletane, e poi mi venne voglia di passare alla chitarra. La mia era una famiglia musicale, nella quale si cantava e si suonava spesso; mia madre era stata direttrice di un coro per molti anni. Inoltre mio fratello maggiore (Danilo Rustici, ndr) diventò chitarrista di un gruppo abbastanza famoso del prog italiano, gli Osanna, e io seguii le sue orme.

Hai sempre pensato di fare il musicista?

Ho realizzato che non è che “pensi” di essere un musicista. Lo sei. È una cosa che ti trasporta. I musicisti che hanno più successo sono quelli che si lasciano andare, si abbandonano alla musica, senza troppe domande. Io mi sono lasciato andare, anche perché il contesto familiare me l’ha permesso, malgrado alcune critiche all’inizio. Mi è stato facile lasciarmi condurre da questa direttiva interiore.

Questo lasciarti andare, questo seguire la musica, ti ha portato anche a fare dei viaggi coraggiosi.

Registrai il mio primo album (Melos, ndr) nel ’73, con un gruppo prog chiamato Cervello, un disco adesso universalmente considerato uno dei migliori 20 album del prog italiano. Era un periodo nel quale in Italia c’erano movimenti culturali e sociali abbastanza pesanti: era molto difficile suonare e avere un riscontro con altri musicisti. Ogni tanto arrivavano in Italia gruppi come Jethro Tull, Genesis, Gentle Giant, Van Der Graaf Generator; questi musicisti facevano cose incredibili, e io cominciai a sentire l’esigenza di misurarmi con loro. Seppi abbastanza presto che era importante che io uscissi dall’Italia. Formammo un gruppo chiamato Nova e decidemmo di trasferirci, con grandi sacrifici, in Inghilterra. Lì ebbi la possibilità di conoscere, di suonare, di imparare da grandissimi musicisti americani e inglesi. Tutti i grandi spostamenti che ho fatto, sono serviti a seguire questa mia voce interiore.

[Clicca qui per continuare a leggere l'intervista di Paolo Bassotti a Corrado Rustici su Gibson.com]

Video - Corrado Rustici - Bodega Bay

mercoledì 1 luglio 2009

Nell'aeroplano sul mare

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(In The Aeroplane Over The Sea, dall album omonimo dei Neutral Milk Hotel del 1997. Testo di Jeff Magnum. Traduzione di Paolo Bassotti, dedicata al ragazzo che si tagliò due barbe e alla fuggitiva della città superba)

Che bel volto
ho trovato in questo posto
che ruota attorno al sole
Che bel sogno
che può apparire sullo schermo
e andarsene via da me in un batter d’occhio
Soffice e dolce
Lascia che io lo stringa forte e lo trattenga

E un giorno moriremo
e le nostre ceneri voleranno
dall’ aeroplano sul mare
Ma per ora siamo giovani
sdraiamoci al sole
e contiamo ogni cosa bella che riusciamo a vedere
Amo stare
tra le braccia di tutto ciò che tengo qui con me

Che vita curiosa
abbiamo trovato qui stanotte
c’è musica che risuona dalla strada
luci nelle nubi
il fantasma di Anna è ovunque qui intorno
sento la sua voce mentre viaggia e risuona dentro di me
È tenero e dolce
come tutte le note si pieghino e arrivino più in alto degli alberi

E ora, come ti ricordo
come volevo spingere le mie dita nella tua bocca
per far muovere quei muscoli
che ti rendevano la voce dolce e calma
E ora andiamo avanti, non sappiamo dove
Tutti i segreti dormono nei vestiti invernali
con qualcuno che hai amato tanto tempo fa
e che non sa neanche più il suo nome

Che bel volto
ho trovato in questo posto
che ruota attorno al sole
e quando ci incontreremo su una nuvola
riderò forte
riderò con ognuno che vedrò
Non riesco a credere
quanto sia strano anche solo esistere


Video - Neutral Milk Hotel - In The Aeroplane Over The Sea
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