domenica 27 dicembre 2009

Il meglio del 2009 (prima parte) – I 10 migliori album rock dell'anno

Il 2009 non è stato un anno rivoluzionario per la musica pop e rock. Anche le migliori proposte del rock alternativo (Animal Collective, Dirty Projectors, Grizzly Bear) sono state in fondo conferme di artisti che già da tempo avevano attirato su di loro le attenzioni di pubblico e critica. Poche sorprese, insomma, ma ci si può consolare con qualche gradita conferma. Alcune le trovate in questa lista, e il fatto che tanti album di qualità siano rimasti fuori (i nuovi di Flaming Lips, Phoenix, Yeah Yeah Yeahs, Neko Case, Decemberists, Bat For Lashes, Dinosaur Jr...) è la più grande dimostrazione che, per chi sa cercare, c'è sempre musica nuova con la quale riempire le proprie giornate. E che si può cominciare ad andare in cerca del miglior disco del 2010!


10 Gov't Mule – By A Thread

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Con By A Thread, i Gov't Mule, guidati da Warren Haynes con la sua Gibson Les Paul Standard (http://www.gibson.com/warrenhaynes/), riescono a trasportare in uno studio di registrazione lo stesso feeling tipico dei loro live. Nelle undici canzoni di questo nuovo lavoro, spaziano agevolmente dal blues incandescente di Inside Outside Woman Blues # 3 a una ballata dal cuore spezzato come Forevermore. Il meglio lo offrono con la furente apertura Broke Down On The Brazos (con in evidenza il basso di Jorgen Carlsson e un'altra Les Paul eccellente, quella dell'ospite Billy Gibbons degli ZZ Top) e con la spettacolare rilettura del brano tradizionale Railroad Boy.


Video – Railroad Boy


9 Bob Dylan – Together Through Life

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Stacanovista come al solito (continua imperterrito il suo Never Ending Tour), Bob Dylan nel 2009 offre ai suoi fan un disco per l'estate e un album natalizio. Per Together Through Life scrive dieci nuove canzoni, con l'ausilio di Robert Hunter e della tradizione (si ama e si ruba, è la prassi). Malgrado i temi cupi, confeziona un disco solare, al quale la fisarmonica del Los Lobos David Hidalgo conferisce ulteriore leggerezza. Canzoni come Forgetful Heart e I Feel A Change Coming On confermano che il più grande di tutti è sempre capace di emozionare, e che per il futuro forse ci si può ancora aspettare da lui un album all'altezza di “Love And Theft.” Con Christmas In The Heart fa beneficenza e prosegue la sua infinita riscoperta delle Americhe, dimostrandosi a suo agio con la polka (!) e col repertorio di Nat King Cole, Bing Crosby e Dean Martin, e prevedibilmente fuori luogo alle prese con Adeste Fidelis.


Clicca qui (http://www.gibson.com/it-it/Stile-di-Vita/Notizie-Rilevanti/this-dream-o-you-bob-dylan-501/) per leggere la recensione di Together Through Life, e qui (http://www.gibson.com/it-it/Stile-di-Vita/Notizie-Rilevanti/Vade-retro-Santa-101/) per leggere quella di Christmas In The Heart.

Video – Forgetful Heart



8 Super Furry Animals – Dark Days/Light Years

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Per il più affidabile gruppo gallese, parole come pop e rock non rimandano a un insieme definito di regole, ma a un universo indefinito di possibilità. In genere si costringono da soli a restringere il campo, con regole momentanee del tipo “facciamo un disco prog,” “omaggiamo la West Coast,” o “non usiamo il sassofono.” Segno che son capaci di tutto. Per Dark Days/Light Years si impongono semplicemente di rinunciare alla slide, e di girare alla larga dal country rock. Per il resto, propongono il solito ricco menù, tra glam, anni '60, lunghe jam e brillanti gemme pop. Lanciando il tutto con un brano, Inaugural Tram, nel quale omaggiano il kraut rock e ospitano Nick McCarhty dei Franz Ferdinand. Perché gli serviva qualcuno che rappasse in tedesco.


Cliccate qui (http://www.gibson.com/it-it/Stile-di-Vita/Novita/a-cardiff-che-tempo-fa-417/) per leggere la recensione di Dark Days/Light Years.


Video – The Very Best Of Neil Diamond


7 Arctic Monkeys – Humbug

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Per poter crescere, Alex Turner e compagni hanno deciso di fare di Humbug un disco nel quale fosse difficile riconoscerli, un lavoro nel quale provare nuove soluzioni, a costo di lasciare spaesato il popolo con le All Star e deludere chi si era innamorato del loro vecchio sound. Josh Homme dei Queens Of The Stone Age, produttore di metà del disco, è stato entusiasta di assecondare la voglia degli Arctic Monkeys di suonare “strani.” La ricerca si traduce in un'inedita cupezza, che per larghi tratti frena anche il rinomato wit dei testi di Turner. Ma che consolazione trovare un gruppo che non accetta di diventare noioso e prevedibile, e che gioia scoprire che in questo lavoro ostico ci sono alcuni dei brani migliori della band, come Cornerstone e Secret Door.


Video Arctic Monkeys - Crying Lightning


[Clicca qui per continuare a leggere la classifica dei dischi dell'anno su Gibson.com]

domenica 20 dicembre 2009

Kris Kristofferson, la Gibson SJ e le canzoni nude di Closer To The Bone

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A volte bisogna sapersi fidare. E per quanto sia difficile trovare qualcuno più diffidente di un vecchio saggio, alcuni nomi storici del country e del rock stanno dimostrando come possa essere una scelta vincente quella di mettersi nelle mani di produttori più giovani, per presentare al meglio la propria musica e le proprie emozioni.Loretta Lynn a settant'anni ha accettato la corte di un fan eccellente come Jack White, lasciando che il chitarrista dei White Stripes regalasse il suo suono ruvido a Van Lear Rose (2004), arrivando in tal modo anche al pubblico del rock alternativo. Rick Rubin, in precedenza celebre per il suo lavoro nel mondo del rap (Beastie Boys, Run D.M.C.) e del rock (Red Hot Chili Peppers, The Cult), ha consentito a Johnny Cash di rendere indimenticabili anche le ultime pagine della propria straordinaria storia, con la delicatezza e l'inaudita potenza delle American Recordings. E per quanto Bob Dylan possa oggi dichiararsi insoddisfatto, l'impressione è che forse senza il doppio intervento di Daniel Lanois (Oh Mercy, 1989, e Time Out Of Mind, 1997) gli sarebbe stato molto più difficile uscire artisticamente vivo dal pantano degli anni '80.
Kris Kristofferson ha trovato il suo perfetto compagno di viaggio in Don Was. Non inganni il fatto che il produttore di Detroit sia celebre soprattutto per il funk cerebrale dei Was (Not Was), o per il lavoro con Iggy Pop e B-52's. Nel curriculum di Was c'è anche molto country, a partire da una collaborazione con George Jones risalente alla fine degli anni '70. Anche la sua amicizia con Kristofferson è di vecchia data. Was è stato al suo fianco in A Moment Of Forever, uscito nel '95 dopo travagliate vicende discografiche, e in The Road Goes On Forever (1995), ultimo disco del supergruppo country The Highwaymen (composto, oltre che da Kristofferson, da Johnny Cash, Waylon Jennings e Willie Nelson).

[Clicca qui per continuare a leggere la recensione di Closer To The Bone scritta da Paolo Bassotti per Gibson.com]

Video - Kris Kristofferson - Closer To The Bone

martedì 8 dicembre 2009

Have You Heard The News?– Intervista ai Waines















I Waines sono uno dei giovani gruppi italiani da tenere sotto controllo. Non solo perché il loro rock è tanto irruento da potervi demolire casa. Ma anche perché gli eventi recenti potrebbero portare il trio palermitano a conquistare il grande pubblico: da poco è uscito il loro primo ottimo album, Stu, capace di confermare quanto di buono si era sentito nell'EP
del 2007 A Controversial Earl Playing; inoltre, il malizioso video del brano trainante, Let Me Be, diretto da Corrado Fortuna, ha vinto nella categoria “miglior regia” al PIVI, Premio italiano per il videoclip indipendente. A contribuire alla loro crescita ha contribuito però soprattutto il passaparola di chi li ha visti suonare dal vivo. Abbiamo parlato di tutto questo con loro tre: i chitarristi (gibsoniani!) Fabio Rizzo e Roberto Cammarata, e il batterista Ferdinando Piccoli.


Paolo Bassotti: Come vi siete conosciuti e come avete iniziato a fare musica assieme?


Waines: Ci siamo conosciuti al liceo e abbiamo cominciato a jammare come i matti durante le occupazioni: come si deduce, non è vero che non servono a nulla!


Come mai il vostro precedente gruppo, i Pastense, si è trasformato nei Waines? Quali sono le differenze tra i due gruppi? Come mai avete deciso di non avere un bassista?


Tra i Pastense e i Waines sono passati quattro anni, durante i quali ci siamo persi di vista. Fabio (slide e voce) è andato a vivere a Bologna, per poi tornare nel 2005 con l'idea del trio senza basso e le bozze per i primissimi esperimenti dei Waines.


Come nascono i vostri pezzi? Da jam improvvisate, oppure uno di voi scrive da solo e porta poi la canzone agli altri per lavorarci insieme?


E' successo più spesso che ci fossero canovacci portati da qualcuno e poi sviluppati insieme. Server invece è nata durante del cazzeggio al vecchio box che avevamo, che poi si è allagato con tutto quello che c'era dentro.


Ascoltando il vostro sound, viene spontaneo pensare all'influenza dei classici del rock'n'roll e del blues, così come dei gruppi che l'hanno provato a reinventare, quali Jon Spencer Blues Explosion o Black Crowes. Le vostre cover (Soulwax, Depeche Mode, Prodigy) suggeriscono invece che i vostri ascolti sono più vari del previsto. C'è qualche altra vostra passione musicale insospettabile? O qualche artista che uno di voi ama, ma che non riesce proprio a far digerire agli altri due?


[Clicca qui per continuare a leggere l'intervista di Paolo Bassotti ai Waines su Gibson.com]

[Clicca qui per leggere la recensione di Stu, il primo album dei Waines, su Gibson.com]

La foto è stata scattata da Michela Forte e concessa dal menagement dei Waines

Video - Waines - Wooooo

domenica 6 dicembre 2009

E all'improvviso ci fu un rumore – Stu, l'album di debutto dei Waines

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La macchina di carne sbuffa e pulsa. Vedere i
Waines in concerto spinge – costringe – a considerare ancora una volta un aspetto chiave della natura sempre ambigua del rock. Il trio di Palermo fila come un treno. Una batteria (Ferdinando Piccoli), due chitarre, chitarre Gibson, ovviamente, (Fabio Rizzo e Roberto Cammarata), per una nuova incarnazione, aperta a influenze e deviazioni, del rock anni '70. Incessante, implacabile. Mantengono ritmo e intensità crudeli, come in una rappresentazione espressionista della Fabbrica. Ma il macchinario è vivo, i tre Stachanov sudano, si consumano. Sembra quasi che vadano avanti a creare musica nuova per continuare a combatterla, a distruggersi, come pugili sorprendentemente sempre più carichi col passare dei round. Musicisti che s'immolano all'estasi della musica. Rock and roll, per intenderci. Questo è tutto quello contro il quale ha combattuto certa elettronica (pensiamo alla negazione dell'idea di live ipotizzata dagli Human League, ad esempio), ed è una bella e paradossale sorpresa scoprire che i Waines vanno a pescare proprio dalle parti dei figli dei synth per una cover che si inserisce alla perfezione accanto ai propri brani originali. La loro versione di NY Excuse dei belgi Soulwax, assieme all'Around The World dei Daft Punk ripresa dai Tre Allegri Ragazzi Morti e all'ottima Hey Boy, Hey Girl dei Chemical Brothers rifatta dalla Bud Spencer Blues Explosion, va a comporre una sorta di curiosa trilogia, che possiamo chiamare “della dance riletta dall'indie italiano,” nel caso ci fossero in giro appassionati di etichette. Questo è un tris che testimonia la voglia di certi musicisti rock sia di non chiudersi, sia di continuare a riportare tutto a casa – o, meglio ancora, nel proprio garage – per rivendicare, dopo tutto, ancora il primato della chitarra. NY Excuse è contenuta anche in Stu, primo album completo dei Waines, che succede all'apprezzato EP del 2007 A Controversial Earl Playing.

[Clicca qui per continuare a leggere l'articolo di Paolo Bassotti su Gibson.com]


Video - Waines - Let Me Be

sabato 5 dicembre 2009

Sweet Emotions – La storia degli Aerosmith in dieci momenti da ricordare

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Che succede in casa
Aerosmith? In molti si sono ormai convinti di non poter più vedere la boccaccia rock di Steven Tyler, eterno satiro dagli abiti improbabili, al fianco di Joe Perry, uno dei volti simbolo delle chitarre Gibson (http://player.gibson.com/june03/perry.html). I “Toxic Twins”, le due colonne della band di Boston, una delle coppie più celebri del rock, sembrano proprio essersi sorprendentemente divisi.

Dopo essere caduto dal palco ad Agosto nel corso di un concerto in Sud Dakota (incidente che ha causato l'annullamento del tour estivo) Tyler si è allontanato dal gruppo, semplicemente decidendo di pensare agli affari propri, e smettendo di rispondere alle telefonate degli altri. Il resto della band, evidentemente infastidito da tale comportamento, non ne ha fatto un dramma. Anzi, proprio il “gemello” di Tyler, Joe Perry (che a Ottobre ha pubblicato un nuovo album solista, Have Guitar, Will Travel) ha subito dichiarato di stare pensando a un nuovo cantante per sostituire il frontman degli Aerosmith.

Il 10 Novembre, durante i bis di un concerto a New York del Joe Perry Project Show, Steven Tyler è però salito a sorpresa sul palco, per allontanare le voci di una scissione, e per cantare ancora una volta Walk This Way con il compagno di sempre. Perry ha però chiarito in seguito che tra i desideri di Steven c'è quello di prendersi un paio d'anni di pausa dalla band, e che gli altri membri del gruppo, come ha confermato anche il batterista Joey Kramer, non sono disposti ad aspettare.

Ripercorriamo, attraverso dieci video, le tappe principali della carriera degli Aerosmith, una storia fatta di grandi successi e di crisi drammatiche.

1 – 1973 – Il primo album: rock, blues e Dream On.

L'album omonimo di debutto esce nel '73, e già presenta il riconoscibile sound della band (che oltre a Tyler e Perry vede Brad Whitford alla chitarra ritmica, Tom Hamilton al basso e Joey Kramer alla batteria): hard rock di derivazione blues, con la sensualità dei Rolling Stones e la durezza dei Led Zeppelin. Accanto al blues rovente di Mama Kin, troviamo anche la prima grande ballad, Dream On: una composizione giovanile di Steven Tyler, con un testo ingenuo ma trascinante, forte di un'evocativa introduzione al piano e di un'ambiziosa orchetrazione. Il singolo di Dream On arriverà nella top ten solo dopo esser stato ripubblicato nel '75, in seguito al successo di Toys In The Attic. Il brano accompagnerà il gruppo fino ai giorni nostri, passando anche per Sing For The Moment, la rilettura di Eminem – approvata dalla band – uscita nel 2002.


[Clicca qui per continuare a leggere e a ascoltare i dieci grandi momenti della storia degli Aerosmith, raccolti da Paolo Bassotti per Gibson.com]
Video - Aerosmith - Dream On

martedì 1 dicembre 2009

Direzioni diverse - Intervista al Teatro degli Orrori (Seconda Parte)

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Continua la nostra conversazione con Giulio Favero, bassista del Teatro degli Orrori e produttore del loro grande secondo album, A Sangue Freddo. Parliamo di poesia e speranza, di pop ed esperimenti, e conosciamo meglio Giulio scoprendo la sua storia e le sue passioni, così come il rapporto del gruppo con gli strumenti Gibson.


Di Paolo Bassotti


Paolo Bassotti: A Sangue Freddo mi sembra trasmettere, sia nei testi che nelle musiche, l'idea di uno scontro tra rabbia e sfiducia. Chi ne esce vincitore? Vale ancora la pena combattere per cambiare l'Italia – o il mondo! – o ha senso rifugiarsi nella propria intimità?


Giulio Favero: Ti rispondo con una domanda: se la tua libertà fosse come l'acqua, combatteresti per poter bere? Vale sempre la pena di combattere per sopravvivere: qui non si tratta solo di cambiare il mondo o l'Italia, qui si tratta di fare la rianimazione forzata a una società che sta semplicemente spegnendosi di fronte ai soprusi più infami della storia moderna. Ci sono un miliardo di persone nel mondo che soffrono la fame, e ci sono poche migliaia di persone che ne hanno le responsabilità: io non sono un ottimista, ma tra lo stare inerme di fronte a questo, e fare anche solo un passo verso il miglioramento, scelgo la seconda.


Due poeti sono protagonisti di due canzoni: Ken Saro Wiwa e Vladimir Majakovskij. La passione per la poesia è condivisa da tutta la band? Ci sono altri scrittori che ti piacciono, e che hanno ispirato A Sangue Freddo?


Per quanto mi riguarda, non sono un appassionato di letture: diciamo che uso più le orecchie che gli occhi. Le scelte dei temi sono sempre di Pierpaolo (Capovilla, ndr), per cui il vero esperto è lui; in ogni caso tutti conveniamo sul fatto che le poesie di Majakovskij sono semplicemente incredibili, e che la poesia ci rende un po' meno bestie di quello che in realtà siamo.


Come mai avete deciso di aprire il disco con un pezzo anomalo come Io ti aspetto?


Perché ci piaceva l'idea che qualcuno ci facesse questa domanda! Scherzo ovviamente; se hai notato l'inizio di Io ti aspetto è identico alla fine di Mariamaddalena: ci piaceva l'idea di mantenere una specie di filo che collegasse i due dischi. Volevamo inoltre che il disco avesse un andamento diverso dal precedente, meno aggressivo all'inizio per poi intensificarsi con l'ascolto, per poi rilassarsi di nuovo. Il primo e l'ultimo pezzo parlano del tempo, che sembra non passare mai quando si soffre, e che invece ti porta di nuovo, inesorabilmente, verso la "fine".


Sul vostro sito scrivete che inizialmente Direzioni Diverse non vi convinceva. Che cosa non andava? Come è andata la collaborazione con Bob Rifo/Bloody Beetroots?

[Clicca qui per leggere il seguito dell'intervista di Paolo Bassotti a Giulio Favero del Teatro degli Orrori su Gibson.com - Clicca qui per leggere la prima parte dell'intervista]


Video - Il Teatro degli Orrori - La canzone di Tom


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