martedì 1 dicembre 2009

Direzioni diverse - Intervista al Teatro degli Orrori (Seconda Parte)

http://www.gibson.com/Files/AllAccess/2009/Feature-Images/Language/Direzioni4.jpg


Continua la nostra conversazione con Giulio Favero, bassista del Teatro degli Orrori e produttore del loro grande secondo album, A Sangue Freddo. Parliamo di poesia e speranza, di pop ed esperimenti, e conosciamo meglio Giulio scoprendo la sua storia e le sue passioni, così come il rapporto del gruppo con gli strumenti Gibson.


Di Paolo Bassotti


Paolo Bassotti: A Sangue Freddo mi sembra trasmettere, sia nei testi che nelle musiche, l'idea di uno scontro tra rabbia e sfiducia. Chi ne esce vincitore? Vale ancora la pena combattere per cambiare l'Italia – o il mondo! – o ha senso rifugiarsi nella propria intimità?


Giulio Favero: Ti rispondo con una domanda: se la tua libertà fosse come l'acqua, combatteresti per poter bere? Vale sempre la pena di combattere per sopravvivere: qui non si tratta solo di cambiare il mondo o l'Italia, qui si tratta di fare la rianimazione forzata a una società che sta semplicemente spegnendosi di fronte ai soprusi più infami della storia moderna. Ci sono un miliardo di persone nel mondo che soffrono la fame, e ci sono poche migliaia di persone che ne hanno le responsabilità: io non sono un ottimista, ma tra lo stare inerme di fronte a questo, e fare anche solo un passo verso il miglioramento, scelgo la seconda.


Due poeti sono protagonisti di due canzoni: Ken Saro Wiwa e Vladimir Majakovskij. La passione per la poesia è condivisa da tutta la band? Ci sono altri scrittori che ti piacciono, e che hanno ispirato A Sangue Freddo?


Per quanto mi riguarda, non sono un appassionato di letture: diciamo che uso più le orecchie che gli occhi. Le scelte dei temi sono sempre di Pierpaolo (Capovilla, ndr), per cui il vero esperto è lui; in ogni caso tutti conveniamo sul fatto che le poesie di Majakovskij sono semplicemente incredibili, e che la poesia ci rende un po' meno bestie di quello che in realtà siamo.


Come mai avete deciso di aprire il disco con un pezzo anomalo come Io ti aspetto?


Perché ci piaceva l'idea che qualcuno ci facesse questa domanda! Scherzo ovviamente; se hai notato l'inizio di Io ti aspetto è identico alla fine di Mariamaddalena: ci piaceva l'idea di mantenere una specie di filo che collegasse i due dischi. Volevamo inoltre che il disco avesse un andamento diverso dal precedente, meno aggressivo all'inizio per poi intensificarsi con l'ascolto, per poi rilassarsi di nuovo. Il primo e l'ultimo pezzo parlano del tempo, che sembra non passare mai quando si soffre, e che invece ti porta di nuovo, inesorabilmente, verso la "fine".


Sul vostro sito scrivete che inizialmente Direzioni Diverse non vi convinceva. Che cosa non andava? Come è andata la collaborazione con Bob Rifo/Bloody Beetroots?

[Clicca qui per leggere il seguito dell'intervista di Paolo Bassotti a Giulio Favero del Teatro degli Orrori su Gibson.com - Clicca qui per leggere la prima parte dell'intervista]


Video - Il Teatro degli Orrori - La canzone di Tom


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