martedì 6 luglio 2010

Giocare, sognare e lottare – Intervista a Eugenio Finardi












“Se la tempesta ti spingerà
verso una spiaggia deserta
tu assecondala e forse sarà
un'imprevista scoperta”
(Shamandura, Eugenio Finardi)


Parlando con Eugenio Finardi ci si accorge subito di un fatto: è innamorato pazzo della musica. Con curiosità infinita va a caccia di ogni sorpresa che gli possa riservare la sua amata. Ha fatto la storia del rock italiano, sin dai giorni della Cramps, con dischi memorabili come Sugo e Diesel. Un rock aperto alla musica leggera, un rock che era già canzone d'autore. Negli ultimi anni pare imprendibile. Niente è più lontano da lui dell'idea di dedicarsi al revival di se stesso. Sfugge con un sorriso a ogni definizione. Ha ritrovato la sua Anima Blues, si è immerso con passione nel fado, ha provato le possibilità della propria voce con la canzone teatrale di Vladimir Visotsky. Finardi sa bene che per appagare la propria curiosità deve difendere e coltivare la propria libertà di artista. Con grande gentilezza, ci ha raccontato di tutti questi nuovi progetti, del suo rapporto col passato, dell'amore per le chitarre (in primo luogo per le sue care Gibson), e di molto altro ancora.

Vorrei cominciare parlando di quello che hai scelto di fare in questo periodo. La gente ti conosce soprattutto per il pop e il rock, e tu di recente hai deciso di spaziare dal fado, al blues, al teatro. Da che cosa nasce questa scelta?
In realtà continuo a scrivere canzoni, ma per altri: per Bocelli, per la Pausini, per svariati interpreti. Per quel che riguarda il produrre un disco da cantautore, beh, è una decina d'anni che non faccio un disco di inediti in italiano, anche perché in passato ne ho fatti tantissimi, più di venti. Mi sembrava un percorso consumato. Nell'industria discografica, per come è diventata, a un certo punto si perde di vista la musica e ci si ritrova a cercare il successo, a inseguire qualcosa che possa funzionare. Certo c'è gente molto abile, capace di creare successi a raffica, ma questo in genere allontana dall'ispirazione, ed era successo anche a me. Avevo perso l'ispirazione. Vedevo restringersi l'orizzonte, mi vedevo all'infinito a replicare Musica ribelle o Extraterrestre, le stesse venti canzoni per sempre.
A un certo punto ho deciso di prendere in mano le mie sorti, uscire da questo schema e spostare più in là l'orizzonte, in modo da comprendere più musiche, in particolare il blues. Il rock blues, che è la mia musica vera. Anima blues del 2005 è in un certo senso il mio primo disco, quello che avrebbe dovuto essere il mio primo disco.

Anche da ragazzo hai cominciato dal blues.
Sì, io ero un cantante di rock blues, finché è arrivata la metà degli anni Settanta, con un clima molto ideologico, molto militante, e per essere funzionale al movimento ho deciso di cantare in italiano. Pensavo di fare un paio di dischi così, e poi tornare a fare la mia musica, solo che uno è stato Musica ribelle e la mia vita è cambiata.

Negli anni Settanta hai vissuto alla Cramps un periodo nel quale musica e impegno politico erano strettamente legate. Ti pesava questa cosa?
La cosa mi sembrò eccessiva quando il clima diventò violento. Mi hanno sparato sul palco, renditi conto! Sono cose che ti fanno pensare. Ma io allora ero convinto di quello che facevo. Sono stato anche ingenuo, perché...
[Clicca qui per continuare a leggere l'intervista di Paolo Bassotti a Eugenio Finardi per Gibson.com]
Video - Eugenio Finardi - Un uomo

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