lunedì 9 novembre 2009

Direzioni diverse – Intervista al Teatro degli Orrori (Prima parte)

http://www.gibson.com/Files/AllAccess/2009/Feature-Images/Language/Direzioni2.JPG

A sangue freddo
, il secondo album del Teatro degli Orrori, è un disco forte. È un perentorio, quasi temerario, atto di fiducia nei confronti della potenza di musica e parole. D'un tratto, quasi tutto il resto del rock italiano (e non solo) sembra timido, condannato a confrontarsi con futili questioni quali generi e mode. Il Teatro degli Orrori arriva, ti si piazza a un centimetro dal naso, e ti dice quello che ha da dire, con sicurezza sfacciata, anche quando affronta il dubbio. Si inizia – ed è uno shock – con Io t'aspetto, dalle parti di Tenco e Piero Ciampi (o dei La Crus, per andare a un'altra generazione). Ci si attende un rumore familiare, si viene invece accolti dal suo contrario. È un gesto che serve a mettere le cose in chiaro: qui comandano gli artisti, sono loro che dettano i tempi, i temi, e si prendono pure il gusto di far sudare all'ascoltatore l'arrivo del rock. Quando, dopo quattro minuti d'attesa, con Due arrivano il primo riff e il primo colpo di batteria, è come se si spalancasse una finestra aperta sul chiasso crudele di un mondo alle prese col Giudizio Universale. Il Teatro degli Orrori traccia la mappa di tale terra desolata, ritornando con ostinazione sulle macerie di un amore, come se l'impossibilità della felicità di coppia fosse la metafora necessaria del Trionfo della Fine (persino la strafottente Mai dire mai finisce inghiottita da vecchie fotografie e da un dolente “tesoro ripensaci”). Pierpaolo Capovilla è uno spettacolo nello spettacolo. Mille voci, infinite invenzioni, per trascinare l'ascoltatore da un capo all'altro di un discorso spezzato e allo stesso tempo coerente. S'inabissa nella tenebra del lutto, urla di collera; ora fa scherzi spaventosi, con la voce da cattivo di cartoon, ora si indigna, e gli si crede sempre. Cita di tutto: film, preghiere, musica leggera (si potrebbe fare un lungo elenco che va da Nanni Moretti a Celentano). Li elabora in una poetica profondamente personale, fondata proprio sui repentini cambi di registro, sulle continue evocazioni di contesti e immagini, così come sull'infinito ribadire la propria ossessione per la verità. Più attore che cantante, a volte s'agita con l'aria di un ipnotico e bizzarro capopopolo su di una scaletta ad Hyde Park (“Che cosa ha in testa certa gente?” si chiede sfinito al termine di Alt); a volte, invece, è improvvisamente umano, vulnerabile, e ci si convince che non possa rappresentare altro che sé stesso...
[Clicca qui per leggere la prima parte dell'intervista di Paolo Bassotti a Giulio Favero del Teatro degli Orrori su Gibson.com]

Video - Il Teatro degli Orrori - A Sangue Freddo

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