mercoledì 31 marzo 2010

Neil Young - Il blues dello sgabello da bar





















Ah, se solo potessi

indugiare su un singolo pensiero

abbastanza per sapere

perché la mia mente si muove tanto svelta

mentre la conversazione è lenta

e bruciare tutta la nebbia

per fare strada al sole nella neve!

Fammi vedere il tuo viso,

prima che io me ne vada.


Ti ho vista in qualche film

e in quelle riviste, di notte

t'ho vista sullo sgabello

mentre stringevi forte quel bicchiere

t'ho vista nei miei incubi

ma ti rivedrò nei miei sogni

e potrei vivere mille anni

prima di sapere che significa.


C'era una volta un amico mio

che morì di mille morti

la sua vita era piena di parassiti

e infinite e pigre minacce

Credette a una donna

e puntò su di lei.

C'era una volta un amico mio

che morì di mille morti.

[Barstool Blues - Dall'album Zuma (1975)- Testo di Neil Young, traduzione di Paolo Bassotti]

Video - Neil Young - Barstool Blues

martedì 30 marzo 2010

Noel Gallagher e la Gibson sul palco della Royal Albert Hall per il Teenage Cancer Trust



















Forse qualche fan storico degli Oasis ancora spera in un sempre più improbabile dietro front. Noel Gallagher ha però dimostrato ancora una volta la sua voglia di non tornare indietro, riscuotendo grande successo con i suoi primi concerti dallo scioglimento della band, avvenuto in una turbolenta notte dello scorso Agosto a Parigi. Noel è tornato con due show (il 25 e 26 Marzo) alla Royal Albert Hall di Londra, in occasione del prestigioso evento di beneficenza a favore del Teenage Cancer Trust. In molti si aspettavano brani dal primo album solista, sul quale da tempo ormai sta lavorando, ma Noel ha dichiarato che non gli sembrava l'evento giusto per proporre materiale inedito. La scaletta è stata pertanto incentrata su brani degli Oasis degli anni '90, con classici come...
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Video - Noel Gallagher - Don't Go Away

venerdì 26 marzo 2010

Tutta l'energia dei Bloody Beetroots: Domino e le nuove date del tour mondiale




















Avevamo intervistato Sir Bob Cornelius Rifo dei Bloody Beetroots alla fine del 2009, ai tempi dell'EP Xmas Vendetta, il primo capitolo della serie delle quattro Spares of Romborama. Parlandoci della sua capacità di trasformarsi, di muoversi da un passato rock a un presente dance, fatto di successi che lo rendono l'eroe mascherato dell'elettro-punk italiano da esportazione, ci aveva detto: “oggi porto ancora le stesse scarpe di allora, e suono cd player come fossero chitarre.” È vero anche l'inverso, come Rifo sta dimostrando in maniera inconfutabile. Accade così che sul Myspace della band (una pagina da otto milioni di visite!) Sir Bob si presenti stringendo tra le mani la sua nerissima Gibson SG. Nel recente tour con i Bloody Beetroots Death Crew 77 passa infatti talvolta dall'usuale ruolo da dj a quello di axeman, suonando, oltre alla SG, anche...

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Video - The Bloody Beetroots Death Crew 77 - Domino

mercoledì 24 marzo 2010

I grandi album Gibson – Link Wray – Bullshot – 1979












“Lui è il re. Se non fosse stato per Link Wray e Rumble non avrei mai preso in mano una chitarra.” (Pete Townshend)

Link Wray merita senz'altro il suo posto nella storia del rock grazie al grande successo e all'influenza di Rumble. Forse questo suo brano del '58 non inventò effettivamente il power chord come tramanda la leggenda (è stato trovato un precedente del '51 nella parte di chitarra che Willie Johnson suonò per How Many More Years di Howlin' Wolf), ma sicuramente fu fondamentale nel diffonderlo. Brano strumentale per forza di cose (Wray era tornato dalla guerra in Corea, senza un polmone a causa della tubercolosi), Rumble vendette quattro milioni di copie, grazie al minaccioso e sensuale suono della Les Paul di Wray collegata a un amplificatore Premier appositamente sfondato con una matita. Il suo titolo, ispirato alle risse di strada tra gang giovanili, attirò censura e sospetti sul brano, evento davvero insolito per un pezzo senza parole! Ricorda Peter Blecha nel suo libro sulle canzoni proibite, Taboo Tunes: “All'inizio del 1959, Rumble di Link Wray fu bandita dalle radio di Boston, Detroit e New York, perché...

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Video - Link Wray - Fever

sabato 20 marzo 2010

The Way Young Lovers Do




















The Way Young Lovers Do

Passeggiammo nei campi infradiciati
ritornando al medesimo sentiero
lì dentro al sole della dolce estate
come i giovani amanti sanno fare

Io ti baciai di nuovo sulle labbra
dopo ci salutammo, io e te
solo in adorazione della notte
perché è il momento giusto per sentirsi
come i giovani amanti sanno stare

E ci sedemmo sulla nostra stella
per sognar noi: di come noi eravamo
e poi di come noi saremmo stati
Di quel che eri per me ed io per te

Danzammo tutto il resto della notte,
rivolti l'uno verso l'altra infine
dicendoci “Ti amo, io ti amo”
come i giovani amanti sanno dire.

[Testo di Van Morrison, traduzione di Paolo Bassotti, Canzone tratta dall'album Astral Weeks, 1969]

Video - Jeff Buckley - The Way Young Lovers Do

La ballata di Jack e Meg - Viaggio nell'album live dei White Stripes




















Jack White non sta fermo un attimo. Nel suo immediato futuro ci sono un nuovo disco con i Dead Weather (la band con Alison Mosshart dei Kills alla voce), un'etichetta – la Third Man – da portare avanti, e la promozione dei dischi che ha appena prodotto per sua moglie Karen Elson e per la leggenda del rockabilly Wanda Jackson, un progetto quest'ultimo che magari riuscirà a riscuotere lo stesso successo della collaborazione del 2004 con Loretta Lynn, Van Lear Rose. Si parla poi anche di un album solista, e molto probabilmente non passerà troppo tempo prima del ritorno dell'altro supergruppo di White, i Raconteurs, più tradizionalisti dei Dead Weather, ma con all'attivo già due lavori di qualità superiore. Viene pertanto naturale porsi la domanda: che ne sarà dei White Stripes? Il 20 Febbraio 2009, Jack e Meg sono tornati a esibirsi insieme dopo più di due anni, suonando, accompagnandosi con due chitarre acustiche in una versione un po' sgangherata di We're Going To Be Friends, nell'ultimo Late Night Show dell'amico Conan O'Brien. Alcune voci sostengono che in estate potrebbe arrivare finalmente un nuovo album di studio, il successore di Icky Thump, che si fa aspettare – brutta novità per i fan degli Stripes, abituati a ritmi frenetici – ormai dal 2007. Quello che desta più perplessità è il possibile ritorno in tour del duo, visto che non hanno più tenuto concerti dopo la brusca interruzione dell'estate del 2007, dovuta alle crisi d'ansia di Meg. Lo stesso Jack, in un'intervista al Telegraph, ha dichiarato: “Meg ha superato la maggior parte di quei problemi, ma...
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Video - The White Stripes - Let's Build A Home

venerdì 19 marzo 2010

La grande stella di Alex Chilton












Il 17 Marzo il mondo della musica è stato scosso dalla notizia della morte di Alex Chilton, rocker e cantautore di Memphis, noto soprattutto per i suoi dischi con i Big Star.

Chilton, stroncato da un infarto, aveva solo 59 anni, anche se poteva vantare una carriera lunghissima. Era infatti arrivato in vetta alla classifica americana dei singoli già nel 1967, a soli 17 anni, cantando The Letter con i Box Tops. La piena maturità artistica la raggiunse però con i Big Star, incidendo per la Ardent, etichetta distribuita dalla Stax, due album capolavoro come # 1 Record (1972) e Radio City (1974).

Nel primo album scrisse i brani (gemme quali Thirteen, Feel e The Ballad Of El Goodo) assieme al talentuoso e tormentato Chris Bell; completavano la band Andy Hummel al basso e Jody Stephens alla batteria.

Il disco fu un flop dal punto di vista delle vendite, ma...

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Video - Big Star - In The Street

mercoledì 17 marzo 2010

Oil City Confidential – Julien Temple racconta i Dr. Feelgood in un documentario









Nei cinema inglesi è da poco uscito Oil City Confidential, il film di Julien Temple che completa la sua trilogia del punk, dopo The Filth And The Fury (2000), dedicato ai Sex Pistols, e Joe Strummer – The Future Is Unwritten (2007) sul compianto leader dei Clash. Nel nuovo lavoro, Temple si occupa di una band molto meno famosa, soprattutto in Italia, che è stata però fondamentale per come ha saputo anticipare il punk, per la durezza della musica e per l'attitudine noncurante: i Dr. Feelgood.

Il gruppo di Canvey Island (isola alla foce del Tamigi, anche detta Oil City) viene in genere identificato col pub rock, e liquidato come una nota a fondo pagina nella storia del rock inglese. L'intento di Temple è quello di ridare a questa band il prestigio che merita. La formazione originale dei Dr. Feelgood era caratterizzata dalla presenza di due grandi personalità, due duri in grado di dimostrare grandissimo carisma sul palco: il cantante Lee Brilleaux, scomparso a soli 42 anni nel '94, e il chitarrista Wilco Johnson. Questi sapeva farsi notare per...

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Video - Dr. Feelgood - Riot In Cell Block N. 9 - I Don't Mind


Video - Il trailer di Oil City Confidential

Viaggio nelle canzoni di Scratch My Back, l'album di cover di Peter Gabriel



















Registrare un album di cover è una sfida difficile. Negli ultimi anni di rifacimenti se ne sono sentiti tanti, in gran parte inutili, perché poco ispirati, sbiadite fotocopie, oppure noiosi tentativi di dissacrare l'originale, magari cambiandogli contesto musicale. Peter Gabriel si accosta all'operazione trasportando i brani scelti nell'angolo più nascosto del suo mondo di artista, spogliandoli da ogni contenuto rock, per donare loro solennità e intimo raccoglimento. Scratch My Back è stato accolto da molti come l'omaggio di Gabriel all''indie rock. In realtà non ci sono solo i nomi alternativi (Bon Iver, Arcade Fire, Elbow) che tanta curiosità avevano suscitato all'annuncio della tracklist, ma anche pezzi storici di artisti leggendari, come David Bowie e Neil Young. Un po' come di recente ha fatto Patti Smith nell'accoppiata Twelve/Two More (2007), spaziando dai Nirvana ai Decemberists.

Il disco di Gabriel è legato al curioso progetto I'll Scratch You Back: tutti gli artisti omaggiati dall'ex Genesis ricambieranno il favore, eseguendo una delle sue canzoni, per una serie di cover che andranno a comporre un nuovo album.

Analizziamo Scratch My Back traccia per traccia, per cercare di dare un'idea del risultato finale.

01 “Heroes” (David Bowie)

Gabriel apre con il brano più popolare, chiarendo subito che cosa ha cercato facendosi produrre da Bob Ezrin (quello di Berlin e The Wall) e affidando il missaggio e il ruolo di ingegnere del suono a Tchad Blake. “Heroes” è infatti portata ad anni luce di distanza dalla chitarra di Fripp e dal muro di rumore regalato all'originale da Eno e Visconti. L'incontro tra tastiere e archi – arrangiati da John Metcalfe, vero e proprio coprotagonista dell'album – accompagna la voce di Gabriel in un crescendo che torna poi a quietarsi nel finale. Un espediente che verrà usato spesso anche nel resto del disco.

02 The Boy In The Bubble (Paul Simon)

Simon è stato, proprio come Gabriel, uno dei...

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Video - Peter Gabriel - Street Spirit (Fade Out) - Radiohead cover

martedì 16 marzo 2010

Addio a Micky Jones, chitarrista dei Man




















Frank Zappa
disse di considerarlo uno dei dieci migliori chitarristi al mondo. Micky Jones ci ha lasciati il dieci Marzo, dopo una lunga battaglia contro un tumore alla testa.

Il musicista, nato nel '46 in una cittadina gallese chiamata Merthyr Tydfil, si è assicurato il proprio posto nella storia del rock suonando con i Man.

I Man erano caratterizzati da un vigoroso pub rock, con molte aperture alla psichedelia e al prog, specialmente nelle esibizioni dal vivo. Sapevano dare il meglio di sé in concerto, dilatando spesso i propri brani in lunghe jam, grazie anche all'abilità di Jones nelle improvvisazioni. Si fecero notare già con...

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Video - Man - Angle Easy

I giorni della rivolta – Le chitarre Gibson e alcuni momenti chiave della storia del punk




















Quando si tratta di fare la storia del rock, le chitarre Gibson sono sempre presenti. Non fanno eccezione i giorni del punk. Anche nell'era del do it yourself, dello slogan “impara tre accordi e forma una band,” alcuni dei protagonisti trovarono nelle chitarre dello storico marchio nato a Kalamazoo gli strumenti indispensabili per esprimere rabbia, creatività e feroce ironia. Perché il punk, da un certo punto di vista, più che una rivoluzione fu una restaurazione, capace di strappare il rock'n'roll al mondo degli adulti, ai virtuosi senz'anima e ai piani di marketing delle case discografiche, per ridarlo nuovamente ai padroni di casa, i giovani. Inevitabile allora che nel '77 Londra bruciasse al suono di una chitarra figlia di quella di Chuck Berry. In questa serie di video, possiamo goderci alcuni grandi momenti punk caratterizzati dal suono delle Gibson!

Lou Reed (con Mick Ronson alla chitarra) - Hangin' 'Round

“Tu continui a fare cose che io ho smesso di fare anni fa!” ironizzava Lou Reed,consapevole di essere un precursore. Semplicemente, senza Lou Reed non ci sarebbe stato il punk. Coi Velvet Underground mise le basi di tutto quel che sarebbe stato il rock a venire, proponendo un modo visionario di intendere i testi e il rumore, shockante allora come oggi. Il brano citato è Hanging 'Round, da Transformer (1972), album della sua meritata affermazione come popstar, benedetto dall'intervento del discepolo David Bowie. Anche Bowie sarebbe sopravvissuto alla furia sanculotta del punk a venire (e la sua influenza sarebbe stata ancora più forte sul post punk e nella new wave). Dal punto di vista artistico, in Transformer, Lou e David si incontrarono alla perfezione. Il risultato fu un album formidabile per il modo in cui provocazione e crudeltà giocavano con la musica leggera e col rock più seducente. Fondamentale perché ciò potesse accadere fu il lavoro in studio del grande Mick Ronson, vero produttore dell'album, polistrumentista e chitarrista fenomenale nei brani con l'anima più punk, come Vicious e Hanging 'Round, per i quali suonò una Gibson Les Paul Custom del '68. E tra le chitarre suonate da Reed in quel periodo, va ricordata anche la Epiphone Riviera.


New York Dolls - Chatterbox

I New York Dolls anticiparono il punk sotto molti punti di vista, a partire dall'alleanza con il vulcanico Malcolm McLaren, che poco dopo di loro sarebbe diventato il commediografo del Grand Guignole dei Sex Pistols. David Johansen e i suoi erano strafatti, strafottenti, incuranti, incomprensibili (un gruppo di ragazzi etero che si concia come una gang di travestiti di strada!), e soprattutto devoti allo spirito più marcio e selvaggio del rock and roll. Le loro chitarre?Gibson, ad ogni costo. Sylvain Sylvain, insieme a Johansen l'unico membro sopravvissuto fino alla formazione attuale, con una Les Paul Junior Custom, in seguito ceduta a McLaren in cambio di un biglietto aereo – mai arrivato, ovviamente – per unirsi ai Sex Pistols! Johnny Thunders, il più carismatico e selvaggio membro della band, con una Les Paul TV del '59 e con laLes Paul Special del '55 che compare sulla copertina del secondo album della band, Too Much Too Soon (1974). Un album che includeva Chatterbox. Un pezzo così dimostra quanto il titolo del disco fosse sincero: le bambole di NewYork erano troppo punk, troppo presto.




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domenica 14 marzo 2010

Più forte della morte – American VI, le ultime canzoni di Johnny Cash




















American VI – Ain't No Grave
, raccoglie le ultime registrazioni di Johnny Cash, cantate con lo sguardo alla morte. Che poi non è morte, perché Johnny è più vivo di quanto possa dire un nuovo disco postumo: “Cash è la stella polare, ci puoi fissare la rotta,” fu il necrologio che gli dedicò Dylan, e la stella polare non scompare certo per un po' di nubi. Inoltre, mentre fissava la morte negli occhi, l'Uomo in nero non pensava alla fine, ma guardava piuttosto l'infinito. Pensava a Dio, con invincibile fede. June Carter era morta il 15 Marzo del 2003. June, l'amore e il senso di una vita, la casa alla quale tornare. Non c'è canzone degli ultimi 35 anni di Johnny che non si possa immaginare come rivolta in qualche modo a lei, come a dirle “sono qui, questo sono io. Sono salvo per te, grazie a te.” Dopo June, Johnny cantò, perché il canto per lui era vita e preghiera. Gli rimanevano pochi giorni, prima di raggiungerla, il 13 Settembre dello stesso anno. Rick Rubin continuò a registrare, come aveva cominciato a fare dal '94, per quel primo disco di American Recordings che risollevò e riportò al pubblico l’artista dell’Arkansas. Fu l’ennesimo grande ritorno di una carriera lunghissima. Johnny all’epoca pareva artisticamente finito, dopo essere stato lasciato a terra prima dalla sua etichetta storica, la Columbia, e poi dalla Mercury (che secondo Cash stampò solo 500 copie del suo album flop del '91, The Mistery of Life). Le registrazioni per Rubin consentirono a Johnny Cash un finale degno di un'esistenza straordinaria, complessa e piena di lati oscuri (tanto che un film biografico come Walk The Line, del 2005, per quanto volenteroso, è riuscito a malapena a sfiorare la verità, senza entrare nel cuore del mistero). Gli elementi chiave del lavoro di Rubin sono stati l'idea di mettere al centro di tutto il carisma e la storia di Cash, la produzione scarna, al servizio della voce fiera e solenne dell'anziano artista, e la scelta di includere nel repertorio brani inaspettati. Abbiamo dunque ascoltato Johnny alle prese con il repertorio dei Soundgarden (Rusty Cage), dei Depeche Mode (Personal Jesus) e persino dei Nine Inch Nails, in una Hurt resa ancora più...

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Video - Johnny Cash - Folsom Prison Blues

giovedì 11 marzo 2010

I Can't Quit You Baby – Otis Rush e la Gibson ES-335




















In questi giorni la Gibson lancia la 50th Anniversary 1960 ES-335 TD, per celebrare i cinquant'anni dalla creazione di uno dei suoi modelli più prestigiosi. La ES- 335 rappresentò una delle innovazioni più dirompenti nella storia della chitarra. Era la primavera del 1958 quando il primo modello di questa semi hollow body, ideato da Tom McCarty, arrivò sul mercato, rispondendo a un'esigenza sentita da molti musicisti. C'era infatti bisogno di una via di mezzo tra le hollow body, che garantivano risonanza e riverbero adeguati, e le solid, che assicuravano il sustain e soprattutto il controllo ideale anche a un volume maggiore. Qualcuno aveva provato a rispondere al problema con le cosiddette pseudo-solid body, combinando le caratteristiche dei due diversi mondi; la scelta della Gibson fu di ideare un modello completamente nuovo, lasciando stupefatti i musicisti con la particolarissima cordiera, il doppio cutaway, la perfetta riduzione del ronzio (con nuovi pick-up ideati da Seth Lover) e con un blocco d'acero all'interno della cassa, che consentiva un sustain perfetto. La ES-335 si impose subito come un nuovo modello chiave per le necessità dei chitarristi: per usare le parole di Larry Carlton (anche detto Mr. 335!), il mezzo migliore per “passare dal blues, al jazz, al rock, con una sola chitarra.”
A testimonianza della sua duttilità, nel corso degli anni è diventata lo strumento prediletto di molti grandi musicisti profondamente diversi tra loro: Chuck Berry, l'Eric Clapton del periodo Cream, Lee Ritenour, Freddie King, John McLaughlin e ovviamente B.B. King, con la sua Lucille, una speciale ES-335 senza buche ad effe. Un altro grande bluesman che viene spontaneo associare alla ES-335 è Otis Rush, un uomo che ha avuto una grandissima influenza su chi lo ha ascoltato, pur non riuscendo mai a cogliere il successo commerciale che meritava. Nel corso degli anni è incappato in ogni possibile sventura e decisione sbagliata perché...

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Video - Otis Rush e Eric Clapton - Double Trouble

domenica 7 marzo 2010

Sensazioni forti: quando Vasco faceva scandalo. I 30 anni di Colpa d'Alfredo





















14 Dicembre 1980. Pippo Baudo presenta Domenica In. Fino a qui non c'è niente di strano. Particolarmente strano per i telespettatori dell'epoca fu invece l'ospite che si esibì in collegamento dal Motorshow di Bologna, Vasco Rossi. Quel breve frammento di televisione costituì l'ingresso di Vasco nell'immaginario popolare italiano, e fu un ingresso fragoroso, capace di destare scandalo e in qualche modo di cambiare il nostro rock per sempre. Chi è nato dagli anni '80 in poi fa fatica a immaginare una cosa simile, avendo sempre vissuto in un'Italia nella quale Vasco è considerato una sorta di monumento vivente, capace di riempire qualunque stadio, dominatore di playlist e classifiche anche quando pubblica materiale sciatto come la recente cover di Creep dei Radiohead. Ma in quella...

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Video - Vasco Rossi - Colpa d'Alfredo

sabato 6 marzo 2010

Intervista a Sergio Caputo – Qualcuno sta bussando alla mia anima





















Sergio Caputo vive da qualche tempo negli Stati Uniti. Torna in Italia di rado, per salutare il suo pubblico con qualche concerto. Si tiene lontano anche dall'industria discografica del nostro paese, pubblicando da solo i propri dischi, soltanto quando sente che è il momento giusto. Ha così la possibilità di esprimersi al meglio, scegliendo magari di realizzare un disco di jazz strumentale come That Kind Of Thing (2003). In estate è uscito il suo nuovo album dal vivo La notte è un pazzo con le mèches, nel quale troviamo, accanto a pezzi più recenti quali Brioche, Cappuccino e Blue elettrico, tratte da I Love Jazz (1996), alcuni classici (Bimba se sapessi, Spicchio di luna) di quando nei primi anni '80 cambiò il modo di scrivere canzoni in Italia. Dai giorni di Un Sabato italiano (1983) tanta musica (jazz, pop, swing, sudamericana) è passata sotto le dita di Caputo, spesso accompagnato da chitarre Gibson (come sulla copertina di I Love Jazz e del suo romanzo Disperatamente (e in ritardo cane) uscito nel 2008 per Mondadori) o Epiphone (lo si vede nella cover di La notte è un pazzo con le mèches). Lo abbiamo contattato per chiacchierare delle ultime novità e di alcuni momenti chiave della sua carriera, in attesa del prossimo album di studio.

Paolo Bassotti – Cominciamo da La notte è un pazzo con le mèches. Come mai hai deciso di pubblicare proprio ora un disco dal vivo? Che ricordi hai del suo celebre predecessore, Ne approfitto per fare un po' di musica?

Sergio Caputo – Questo ultimo live documenta...

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Video - Sergio Caputo - Ma che amico sei

martedì 2 marzo 2010

Sempre avvelenato – Intervista al Pan del Diavolo
























Il Pan del Diavolo arriva dalla Sicilia e sa di veleno e rock and roll. Pietro Alessandro Alosi scrive canzoni che tendono un filo (più come trappola che per scherzo) tra mondo quotidiano e surreale. Pesca parole come immagini di un sogno, e le urla su canzoni svelte e scorticate, come da titolo. Magro rock, country di scheletri, roba da busker della laguna nera. Ci si possono sentire dentro i Violent Femmes, Screamin' Jay Hawkins, Buscaglione, Clem Sacco o Rino Gaetano, ma la cosa migliore è smettere per un poco il gioco delle somiglianze, e godersi un nuovo talento della musica italiana. Il Pan del Diavolo, dopo un ottimo EP omonimo uscito nel 2009, ha pubblicato all'inizio di quest'anno il primo album, Sono all'osso (Tempesta), prodotto da un “gibsoniano” come Fabio Rizzo dei Waines. Sono all'osso è un disco che brucia come zolfo (“puzza e danna”), breve e intenso, pieno di canzoni da ricordare, dalla storia notturna di Centauro allo sfogo di Università, assieme ad una Bomba nel cuore confezionata con gli Zen Circus. Abbiamo contattato Pietro Alessandro per scoprire la storia del Pan del Diavolo e per parlare assieme di questo nuovo disco.

Paolo Bassotti – A che età ti sei appassionato alla musica? Da chi hai imparato a suonare?

Pietro Alessandro Alosi – Mi sono appassionato alla musica fin da piccolo, da quando mia madre ascoltava le cassette dei Beach Boys in macchina. Mi ricordo poi che dopo la scuola – andavo alle elementari – mi inventavo delle canzoni con parole inesistenti e potevo andare avanti per ore. Infine silenzio sino ai 15 anni, quando ho cominciato a suonare la batteria. A diciassette anni ho preso la chitarra in mano e da allora scrivo canzoni di ogni tipo. Nessuno mi ha mai insegnato a suonare per bene uno strumento ed infatti non sono molto bravo!

Come è nato il Pan del Diavolo? Quali musicisti hanno fatto parte della formazione, dal vivo o in studio?

Il Pan del Diavolo è nato dopo una mia esperienza pseudo discografica, indegnamente fallita per colpa di un produttore che distrusse completamente la mia musica. Dall'estate 2005 ho cominciato a lavorare da solo a cercare dentro di me quale fosse la mia musica, la mia direzione musicale, così scrissi alcuni brani che considero tuttora fondamentali per la mia scrittura. Al momento giusto incontrai Alessio Fabra. Alessio è rimasto in formazione fino a Dicembre del 2008, il momento in cui stavamo registrando il primo Ep (quello di Coltiverò l'ortica e I fiori). Il primo assistente di studio al Cave di Catania era proprio Gianluca Bartolo: cambio di testimone. Adesso siamo una squadra, lavoriamo tutti insieme solo per il bene dei brani .

Una delle canzoni dell'EP che ha preceduto l'album si intitola proprio Il Pan del Diavolo. È stata la canzone a dare il nome alla band o viceversa?

Usavo già questo nome per una formazione di stampo garage di mia invenzione (l'antenato dell'attuale Pan del Diavolo). La canzone invece racconta delle mie disavventure notturne dalle quali infine arrivò a liberarmi il Pan del Diavolo. Considero questo nome come il mio alter ego musicale.

Il vostro EP era composto da quattro pezzi fenomenali, come mai hai deciso di non utilizzarne neanche uno in Sono all'osso?

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Immagine: © 2009 blockdesign.it

Video - Il Pan del Diavolo - Coltiverò l'ortica

lunedì 1 marzo 2010

Revolution Rock! - London Calling dei Clash, 30 anni dopo




















“Quando sei arrabbiato distruggi sempre le cose che ami,” ha dichiarato Paul Simonon a proposito della leggendaria foto nella quale spacca il proprio basso, scattata da Pennie Smith a un concerto al Palladium di New York e usata per la copertina di London Calling. Per realizzare quel doppio album, il capolavoro di una carriera piena di grandi momenti, i Clash distrussero ogni preconcetto esistente su di loro, con quella rabbia che può essere mossa solo dall'amore. London Calling segnò definitivamente la fine dei Clash come punk band e la nascita dei Clash come gruppo rock a tutto campo, aperto a ogni tipo di contaminazione musicale, capace – senza alcun senso di colpa – di piacere anche al grande pubblico. Le registrazioni della loro terza prova arrivarono in un periodo difficile. Il loro secondo album Give'em Enough Rope (1978) aveva deluso molti fan, soprattutto per la produzione di Sandy Pearlman, tanto esperto e professionale da costringere i ragazzi a estenuanti registrazioni, capaci di raffreddare il loro inconfondibile fuoco. In Inghilterra il punk sembrava ormai una moda lontana: i PIL di John Lydon imponevano la necessità del post-punk, mentre molti artisti, da Elvis Costello ai Police, dimostravano come la grande rivoluzione del '77 potesse essere un bel pretesto per rinnovare il pop. I Clash non potevano certo pretendere di rimanere per sempre quelli di London's Burning e Complete Control, avrebbero rischiato di rimanere inchiodati al ruolo di testimoni di un'epoca ormai passata. Trovarono l'ispirazione per rinascere nella tradizione. Con ansia iconoclasta, pochi mesi prima (ma all'epoca un mese valeva un secolo), nella B-Side di White Riot, intitolata per l'appunto 1977, avevano detto un secco no a Elvis, Beatles e Rolling Stones. Ora tutto pareva cambiato. Per la grafica di copertina si ispirarono proprio a....

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Video - The Clash - Brand New Cadillac
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